NASCERE INCENDIARI, RICICLARSI POMPIERI

Ci sono cose che quasi tutti sanno e quasi tutti pensano, ma che pochi scrivono. Tra questi “Dagospia”, che al netto della sua frequente deriva hot, di una trasgressività banalotta, resta un sito di verità scomode e di giudizi liberi, per quanto opinabili. Riproponiamo qui una ricostruzione al vetriolo su un capitolo fondamentale della nostra storia recente e del nostro costume, in cui oggettivamente furoreggiano maestri del pensiero dalla memoria corta e dagli ideali a dir poco versatili.

DAGONOTA

Nonostante i bassi indici di ascolto non chiuderà Rai Storia lì sul piccolo schermo dove, quotidianamente, sale in cattedra lo storico (senza storia), Paolino Mieli. A buona ragione l’ex direttore del Corriere della Sera può essere considerato l’erede naturale del simpatico tuttologo professor Alessandro Cutolo che con il suo spiccato accento napoletano a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta furoreggiò nella televisione in bianco e nero con la sua rubrica “Una risposta per voi”.

Con la sua faccia a salvadanaio da Pierrot triste, Mieli fa rimpiangere l’arguzia bonaria del prof. Cutolo e la sua onestà intellettuale nell’imbrogliare le carte del suo sapere. Non c’è personaggio della storia antica, moderna e contemporanea che non venga affrontato da Mieli (da Giulio Cesare a Giuseppe Garibaldi) nel suo spazio in tv dove ospita i suoi tanti discepoli arruolati a suo tempo sulle colonne della Stampa o del Corriere.

E forse è a lui, il Mieli traghettatore dalla povera pubblicistica di partito alla ricca corte degli Agnelli&Romiti, che dovrebbe rivolgersi Ernesto Galli Della Loggia. O, forse, a se stesso, protagonista di una lunga stagione politica, economica e intellettuale lasciata nell’oblio. Ma non si tratta di “traditori” o “voltagabbana”: chi fa certe scelte diverse simili anche ai salti mortali dovrebbe però spiegarne le ragioni.

Nel 1957 lo scrittore Italo Calvino che si stava allontanando dal Pci invitava all’autobiografismo “dell’uomo della società vecchia e di uno dell’uomo della società nuova”. Per l’autore di Palomar “la lettura del comunismo, che ha puntato sulla carta del romanzo” non basta a ricordare un’epoca. Non romanzi, appunto, “ma soprattutto opere autobiografiche…”.

A sorpresa, l’altro giorno sulle pagine del Corriere della Sera, Ernestino è tornato a chiedersi le ragioni della rimozione degli “anni di piombo” senza mostrarci la sua carta d’identità politico e intellettuale.

Già, in quest’ultimo trentennio (e passa) è stata “rimossa” pure la stagione di Tangentopoli, cavalcata dall’ex corazzata di via Solferino allora pilotata da Mieli nella speranza di salvare dal carcere i suoi padroni (la Fiat).

Della Loggia, ovviamente, si guarda bene dal fare il nome degli “smemorati” del ceto intellettuale che, con rare eccezioni (Giampiero Mughini), una volta smesso il ruolo di “banditori di violenza” si sono disinvoltamente riaccasati nelle file della borghesia imprenditoriale.

Con chi ce l’ha Ernestino? Con il suo amico Paolo Mieli, ex Potere Operaio e redattore capo dell’Espresso, un settimanale quasi confinante col nascente terrorismo di sinistra? Con i socialisti craxiani che nel tentativo di salvare la vita di Moro trattavano sottobanco con alcuni esponenti contigui alle Brigate Rosse?

Forse allude al suo sodale e compagno di banco a “Mondo operaio”, Claudio Martelli, impegnato alla conferenza di Rimini a tessere un “filo rosso” tra gli ex di Lotta continua e il Psi fino a realizzare con lui il giornale “Reporter”?

E il nostro ha dimenticato pure la grancassa mediatica e politica del delfino di Craxi (esistono le registrazioni telefoniche) nel difendere il leader di Lotta continua dall’accusa di aver comunque partecipato all’uccisione del commissario Luigi Calabresi?

O nel suo personale indice d’indignazione, il Della Loggia intende includere l’ex lottacontinuotto, Gad Lerner, “il comunista con il Rolex” amico di Carlo De Benedetti, che nel suo ultimo libro “L’Infedele” (Feltrinelli), a differenza di Ernestino, cerca almeno di mettere ordine (morale e religioso) nel suo passaggio dai ribelli ai padroni del vapore.

Ma non è soltanto Galli Della Loggia a rimuovere il passato usando il bianchetto omertoso dell’autoassoluzione urbi et orbi.

Se la memoria “è la colla che lega la nostra vita mentale, che racchiude la nostra storia personale” (Squire e Kandel), il morbo di Alzheimer (intellettuale) deve aver colpito anche Flebuccio de Bortoli al momento di dare alle stampe il volume “Le cose che non ci diciamo (fino in fondo)” (Garzanti).

Ora se un lettore non sapesse che Flebuccio è stato due volte direttore del Corriere della Sera(gestione Agnelli&Romiti) e una volta del Sole 24 Ore(quotidiano della Confindustria), avrà l’impressione di trovarsi a sfogliare un saggio di un oscuro studioso dei poteri marci e di una classe politica (e dirigente) che ha messo in ginocchio il Bel Paese, vissuto negli ultimi trent’anni in qualche università straniera.

Il negare la continuità (e contiguità) tra la sua esperienza (e responsabilità) professionale non fa onore a de Bortoli. Del resto bastava cambiare il titolo del libro con “Le cose che non vi ho detto (fino in fondo)” per salvare almeno la faccia.

Tra gli smemorati di via Solferino nei titoli di coda merita un posto anche Pierluigi Battista, devoto anche lui a Paolino Mieli. Prima sul Corriere della Sera e poi con un’intervista a il Riformista si butta penna in resta contro certo giornalismo giudiziario di oggi, “colla e incolla” delle veline della procura, che sputtanano politici e imprenditori ancora in attesa di giudizio.

La perversa inclinazione di Pigi verso il suo mentore Paolino lo porta a dimenticare che i processi a mezzo stampa, la cosiddetta “gogna mediatica”, ha conosciuto il suo massimo splendore ai tempi di Mani pulite e ai tempi della prima direzione di Paolo Mieli. Moralisti a la carte.

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