NAPOLI CONDIVIDE SEMPRE LA SUA GIOIA CON I MORTI

La vittoria del Napoli sulla Juve per ben 5-1 ha portato nella città un clima di gioia condivisa e inarrestabile. Le gesta dei calciatori sono sulla bocca di tutti. Con un’inusuale sicurezza si osa perfino parlare apertamente di scudetto, esaltando le doti di una squadra vincente, sfidando apertamente la scaramanzia.

A Napoli il calcio non è solo uno sport, ma è riscatto sociale (di cui Maradona seppe essere interprete di alto livello), rivincita del meridione perdente e sfaticato, del povero contro il ricco, e tanto altro.

Nella raffigurazione stereotipata il popolo napoletano è descritto come teatrale, esagerato nei modi e nell’espressione dei sentimenti, chiassoso, allegro e generoso, talvolta disonesto.

In un articolo a firma di Marco Ciriello apparso sulla “Gazzetta dello Sport” all’indomani della vittoria contro la rivale meno amata di tutte, ho invece apprezzato una lettura meno usuale delle caratteristiche della mia città.

Ovvero che a Napoli la gioia più grande è sempre intrisa anche di un pizzico di malinconia, perché il pensiero va ai cari che non ci sono più e con cui non è possibile condividere questa soddisfazione. Dietro la gioia urlata e sfrenata, c’è anche un dispiacere rispettoso verso chi non è stato fortunato. Mi sembra un’osservazione arguta, che coglie due aspetti del vero napoletano.

Da un lato un tratto di nobile bontà e riservatezza che si cela dietro una chiassosità esagerata, che talvolta, ammettiamolo, sfocia anche in volgarità.

Dall’altro la conferma del rapporto profondo che a Napoli più che altrove esiste con il mondo dei morti, che continuano ad essere presenti e con cui il dialogo è persistente.

Non a caso, nel 1987, con il primo scudetto del Napoli, comparve un grande striscione davanti al cimitero di Poggioreale con la scritta: “Non sapete cosa vi siete persi”.

Ancora una volta, ironia e nostalgia, insieme. E poi i teschi delle anime pezzentelle del cimitero delle Fontanelle a cui chiedere protezione, il sangue di san Gennaro, la bella ‘mbriana citata anche da Pino Daniele o il munaciello, lo spiritello protettivo della casa evocato nell’ultimo film di Paolo Sorrentino, a conferma di un rapporto ultrasecolare, magari pagano, che ci consente di immaginare che i nostri cari sono ancora con noi, a proteggerci e illuminarci.

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