MORTI A SPANNE

di JOHNNY RONCALLI – Sempre a cercare il pelo nell’uovo, è vero, ma si tratta di rispetto e dignità. Procedo.

Fin dall’inizio è stata e continua a essere una questione anche di numeri, sempre più grossi, sempre in crescita, numeri che sono le superstar del COVID. I numeri dei contagiati, i numeri delle terapie intensive, i numeri dei guariti da un certo punto in avanti. E poi il numero dei morti, inevitabile anche quello.

Inevitabile, ma fin da subito una cosa mi ha fatto storcere il naso nei resoconti, dei notiziari o dei bollettini che fossero: i morti non dovrebbero mai essere un numero approssimativo, mai quando è possibile avere il numero esatto, con nomi e cognomi.

È malcostume diffuso, da sempre (da sempre?), ma la consuetudine, unita alla cadenza quotidiana dei ragguagli, lo rende ancora più insopportabile.

Il pelo nell’uovo sta qui, i morti non dovrebbero mai essere POCO MENO DI…, oppure QUASI…., oppure POCO PIÙ DI….

I morti non sono POCO MENO DI trentamila, sono semmai ventinovemilaottocentosette, non sono QUASI trentamila, sono ventinovemilanovecentotrentasei.

L’indeterminatezza sbrigativa del resoconto rende ancora più anonime quelle bare in corteo che non vogliamo più vedere: non costa grande fatica pronunciare il numero esatto, il quale per amara ironia compare talvolta impresso sullo schermo: quindi perché non pronunciarlo?

Non so se matematica e algebra siano scienze esatte, pare che la discussione non sia così scontata, ma certamente una scienza esatta è la morte. O sei vivo o sei morto, le vie di mezzo esistono solo nei modi di dire.

Non capisco quindi l’approssimazione, a meno che chi annunci si consideri QUASI essere umano, o POCO MENO DI un essere umano. Escluderei il POCO PIÙ.

Una questione di civiltà. Poca cosa forse, ma un uovo col pelo dentro io non lo mangerei.

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