MISTER VIP, COSI’ MILIONARI E COSI’ PRECARI

di LUCA SERAFINI – Lo chiamano il valzer delle panchine, sulle note del concerto che inizia ogni primavera e riguarda i cambi di allenatori imminenti. E’ piuttosto il gioco della sedia, in realtà: tutti ci ballano e ci girano intorno, a turno uno resta senza.

Ha iniziato la Roma con un fuoco d’artificio mediatico che ha squassato la sonnolenta stagione giallorossa, popolata da fantasmi e bastonate. Al povero Fonseca prudeva il collo già quando vinceva, sapendo dei molti arrotini che stavano limando la sua ghigliottina, quando la squadra è crollata il prurito è diventato un’orticaria. Il boia lo ha giustiziato il giorno dopo la scoppola di Manchester (6-2), annunciando l’ingaggio faraonico di Mourinho, ex special-one che negli ultimi anni ha abbassato toni, modi e anche risultati portandosi a casa una Europa League con il Manchester, tra un esonero e l’altro. Fino al flop Tottenham, inatteso e sportivamente inaccettabile. Gli serviranno giocatori, perché rinasca quel guascone che predicava calcio ma razzolava fior di contropiede. Nulla di male, per carità: quando si vince si ha sempre ragione e Mourinho ha vinto tanto. Può non essere simpatico, ma di uomini intelligenti il nostro campionato ha sempre molto bisogno e quindi bentornato.

Come è successo a Torino dopo gli ultimi 2 scudetti, prima con Allegri poi con Sarri, ora è il turno dell’Inter a far ciondolare un bel punto di domanda sulla zazzera virtuale del suo condottiero. Antonio Conte si interroga se lo scudetto possa avere un seguito per guidare i nerazzurri competitivi anche in Europa, dove ultimamente sono state legnate premature: il fatto è che la società, tra un festeggiamento e l’altro, ha lanciato chiari messaggi di austerity e quindi bisogna capire se hanno in mente di rinforzare la squadra campione o di gestirla – come pare – con le risorse interne. Il che significherebbe prestiti, low-profile e parametri zero, non esattamente le ambizioni di Conte per sistemare la corazzata.

Di nuovo la Juve, poi, con Agnelli e Pirlo che si accarezzano le rispettive barbe interrogandosi su che sarà. La stagione bianconera è stata una lagna quasi come le loro abituali conferenze stampa, seppure va detto che la squadra non era stata costruita esattamente con criterio. Il puzzle rimasto nelle mani del neofita bresciano mancava di alcuni tasselli vitali, per di più qualcuno lo ha pasticciato lui in prima persona ponendo posizioni e assegnando compiti non proprio all’uopo. Com’è come non è, la Juve è comunque seconda a 4 giornate dalla fine, tenuta a galla ora da Cristiano, ora da Morata, ora da Chiesa, Kulusevski, Cuadrado… E il portiere, fosse Buffon o codice fiscale Sczcesny. Tramontati i sogni di Klopp, Guardiola e filosofi d’Oltralpe vari ed eventuali, si riaffaccia l’ombra di Allegri. A volte ritornano.

Gattuso ha già salutato il Napoli con l’ambizione di lasciarlo, dopo un anno e mezzo, in Champions, dopo la Coppa Italia sistemata in bacheca nel 2020. E’ già pronto Spalletti, si dice, che al gioco della sedia vince sempre perché tanto lui sta in piedi a fissare l’erba del campo, durante le partite. Qualche rumors vorrebbe il ritorno di Ringhio al Milan, dove Stefano Pioli è in bilico tra il miracolo e l’illusionismo vacuo, perché quello che ha fatto in questi ultimi 16 mesi finisce con l’ondeggiare tra l’estasi e l’atroce: senza entrare nelle prime 4 dopo 32 giornate tra il primo e il secondo posto, lo attenderebbe la gogna. Che non merita, per inciso, ma banalmente… questo è il calcio. Gogne, ghigliottine e punti di domanda.

Come avete notato, le panchine precarie oggi sono esattamente quelle che riguardano le prime 5 in classifica. Immaginatevi il resto. Sarà molto affollato, il gioco della sedia di quest’anno. Altro che valzer.

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