Eppure c’è la Fiera del mobile. E le settimane della moda. La movida sui Navigli, il turismo che ha sopravanzato persino Venezia e Firenze. Eppure c’è ancora quella Milano “che banche, che cambi, ogni volta che devo venire mi prendi allo stomaco, mi fai morire”. Il traffico e lo smog, gli imbruttiti e l’apericena. Eppure, in mezzo a questa vita che passa accanto, con le mani ti saluta e fa byebye…
In mezzo al lavoro, alle tasse, ai problemi di una città in movimento perenne che anche di notte c’è lo stesso traffico come a mezzogiorno… Taaac. Milano si ferma. Stop. Sembra svuotarsi, quasi, come a Ferragosto. Tutti immobili a pensare a una partita di calcio, anzi due: il derby, i derby, di Champions League. Oggi ancora come 20 anni fa esatti, oggi ancora con il fiato sospeso e i nervi a fior di pelle, ovunque si parlerà, si sussurrerà, si penserà ai derby: nei bar e sui tram, nei taxi e per strada, al ristorante e in piazza Duomo.
Ma se quella volta là ci si poteva anche credere, stavolta no. Stavolta era impossibile. Una proprietà cinese piena di debiti, una proprietà straniera di cui non si conoscono i volti perché in tribuna e in sede non ci sono mai. Due squadre forti, forse, in Italia, ma irregolari, incomplete e imperfette come un pasticcio di illusioni, un recente scudetto a testa, ma adesso mischiate in fondo al gruppetto di testa. Balbuzienti, attorcigliate su se stesse.
C’erano Zanetti e Maldini, Shevchenko e Crespo, Inzaghi e Cannavaro… Oggi chi giocherebbe in una di quelle due squadre?
Chiacchiere sterili, sono lì e basta, con pieno merito perché hanno fatto fuori Barcellona e Tottenham, Benfica e Napoli, non sono tra le più forti nemmeno in Italia, ma tra le migliori in Europa, dove Milan e Inter hanno tirato fuori quei ritmi milanesi, dirigenti e operai insieme, quella movida allegra dopo le 8 ore di stress, quella voglia del weekend al mare appena fa primavera.
E gli allenatori, poi. Simone Inzaghi e Stefano Pioli, oggi come allora Hector Cuper e Carlo Ancelotti, sospesi tra trionfo e fallimento senza vie di mezzo, senza via d’uscita.
Vinca il migliore no, non è detto. Forse perché realmente un migliore a questo punto non c’è. Resta sempre nelle orecchie solo quella musichetta lì, altro che l’inno della Champions: “Sapessi com’è strano, sentirsi innamorato, a Milano”.