MICHELE, UCCISO DALLA LEUCEMIA: LA STORIA PERFETTA PER IL MINISTRO CINGOLANI

Michele Merlo era un ragazzo di 28 anni che stava iniziando una carriera nel mondo dello spettacolo. Faceva il cantante, aveva già raggiunto una certa notorietà. E’ morto per una leucemia fulminante nel giro di due settimane, lo scorso giugno. Ora stanno emergendo i dettagli di quel suo rapido calvario, e nel leggerli non ho potuto fare a meno di pensare alle parole che un pur valido ministro italiano, quello della Transizione ecologica Roberto Cingolani, ha pronunciato qualche giorno fa, e di cui ha già parlato Marco Cimmino su altroPensiero.net : “Basta studiare quattro volte le guerre Puniche, servono più digital manager”. Che cosa c’entrano le idee di Cingolani sulla formazione degli italiani con la tragedia di un ragazzo sfortunato? Provo a spiegarlo.

Michele da giorni era spossato, aveva continui dolori, mal di gola, ematomi che comparivano su varie parti del corpo; si era rivolto al suo medico di famiglia a Rosà (Vicenza), ma trovarne uno che ti visiti realmente è come cercare l’ago in un pagliaio. Oggi si fa tutto via email, whatsapp, online, digital. Michele manda una foto della sua coscia destra, per far vedere che non si tratta di una paturnia: la foto, pubblicata dal “Corriere del Veneto”, è spaventosa. L’intera parte esterna della coscia è viola, tumefatta. Chiunque, anche senza alcuna conoscenza medica, capirebbe che la situazione è grave.

Ma il giorno dopo, sul telefonino del giovane cantante compare la risposta, firmata da un anonimo “assistente di studio” del medico, che lo rimprovera: “L’utilizzo della mail è unicamente per la richiesta di terapia cronica. Per qualsiasi altro motivo, chiamare in segreteria. Inoltre chiediamo di non inviare foto”.

Era il 26 maggio scorso. Il 5 giugno Michele è morto, dopo essere stato rimbalzato in modo analogo dall’ospedale di Cittadella (Padova), dove in 3 ore di codice bianco nemmeno lo visitano, dal pronto soccorso di Vergato (Bologna), dove ancora nessuno lo degna di uno sguardo, da un medico di continuità assistenziale della provincia di Bologna che lo rimanda a casa con una diagnosi di tonsillite.

La sera del 3 giugno, dopo una giornata passata a vomitare, Michele perde conoscenza: solo quando l’ambulanza lo porta in ospedale a Bologna evidentemente lo spogliano per visitarlo e di fronte a un corpo ormai viola si decidono a fare un esame del sangue. E’ troppo tardi.

Che cos’è questa? Malasanità? No, troppo semplice. E’ il frutto di un sistema sanitario distrutto dalle basi, da medici e operatori selezionati con un test d’ingresso universitario costruito assecondando più la formazione scolastica di un geometra, di un diplomato all’istituto tecnico, di un informatico, che quella di un liceale. Un delirio che si ripropone ogni anno, da quando hanno inventato i test con la scusa dei “posti a disposizione”. Posti da medico? No, posti in facoltà. Non si programma sulla base delle necessità di un Paese, ma sulla base dei banchi e del numero di professori disponibili all’università, con il risultato che mancano decine di migliaia di medici negli ospedali e sul territorio. E quei pochi sono molto digital-tecnici, come sogna Cingolani, ma non hanno niente a che fare con quello che un medico dovrebbe essere, niente a che vedere con la capacità di ascoltare, osservare, guardare, provare empatia, toccare, analizzare, riflettere, decidere. In altre parole: curare.

E qui torniamo al ministro Cingolani e alle sue guerre Puniche. Anche lui tradito dall’idea che la scuola italiana non offra una formazione adeguata alle esigenze del mercato del lavoro. Idea non del tutto sbagliata, sia chiaro. Ma la soluzione non è “meno storia, più tecnologia”, per semplificare il concetto così come ha fatto il ministro. Se uno non conosce la storia, se non conosce il motivo dell’importanza della filosofia, della riflessione, della letteratura, dell’analisi del pensiero, se non conosce a fondo il significato del termine “cura”, ma in compenso conosce a menadito i codici informatici, non potrà mai essere un medico. Al massimo, potrà inviare su whatsapp risposte come quella dell’ambulatorio di Rosà di fronte alla gamba tumefatta di un ragazzo di 28 anni che sta morendo di leucemia, o inserire con perfetta consapevolezza nel computer dell’ospedale i casi da codice bianco, giallo, verde, rosso senza mandare in tilt il sistema operativo, ma soprattutto senza nemmeno visitare un ragazzo che non sta in piedi.

Amico ministro, se vince lei ci faremo curare dai Bill Gates e dagli Zuckerberg, e moriremo digitalmente soddisfatti.

Un pensiero su “MICHELE, UCCISO DALLA LEUCEMIA: LA STORIA PERFETTA PER IL MINISTRO CINGOLANI

  1. Fiorenzo Alessi dice:

    Egr.dott. Ario GERVASUTTI,
    Lei scrive di cose note per chi, per motivi ed esigenze non certo di diletto, ha avuto in sorte il calvario sanitario.
    Per carità di Dio, esistono ancora medici , o dottori -professori come comunemente li si …invoca quando anche le preghiere (quelle vere eh, a Dio e compagnia santa e beata) non pare servano più a granché, che sono professionisti e persone perbene .
    Non ho pretese di diagnosi e conseguente terapia miracolistiche , ne’ d’infallibilità di cd. luminari , sempre più merce rara, se non anch’essa deteriorata.
    Mi accontento di molto meno, di una umanità solidale che è diventata chimera, come di competenze fondate sullo studio e sull’esperienza.
    Studio ed esperienza che si vorrebbero compiuterizzare, riducendo la medicina ad una roba penosa. Aggiungerei , giusto per rimarcare la pena, anche farcita di condotte penalmente rilevanti.
    A proposito, eccedo e diffamo una categoria di professionisti della medicina , e di riconnessi cd. operatori , a ben vedere ed a ragione benemerita, se affermo che alcuni di costoro sono delle vere e proprie canaglie ?
    Lo so bene, è una parola obsoleta, ma di un significato inequivoco.
    Cordialmente.
    Fiorenzo Alessi

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