Sgombriamo subito il campo: Michelle Comi, centinaia di migliaia di followers bavosi sui suoi profili, non è un’influencer come la descrivono i media: è una moderna pornostar, un porno soft per mancanza di primi piani alle parti intime, ma con riferimenti molto più che espliciti nei suoi video, nelle sue foto, nei suoi testi. Molto più, che espliciti…
Questa professionista dell’ingrifamento, che si vanta di trascorrere 5 mesi in vacanza, sdottora sul Papa e sulla guerra, sull’aborto e sulla maternità, insulta i meridionali, pensa insomma di poter anche esprimere idee e opinioni…, questa tizia ha lanciato mesi fa una campagna chiedendo a un milionario di portarla in vacanza, poi un’altra lanciando l’idea di farle qualche regalo “non sotto i 5000 euro”, adesso una raccolta fondi per rifarsi le tette (chiamiamo le cose con il loro nome) che le ha fruttato 15.000 euro in poche ore, a botte di donazioni da 5, 10, 15 euro.
Anche se personalmente provo pena e repulsione per lei e la dignità calpestata sulla sua personalissima bancarella, per i suoi genitori e le speranze che avevano circa la vita della bella figliola, non ho niente contro le decine, centinaia di Michelle che si mostrano mezze o interamente nude, che raccolgono lumache schiumanti sulla loro scia di ammiccamento fasullo. “Thread” e “X” sono la nuova frontiera della prostituzione virtuale.
Ma il mestiere più antico del mondo prolifera – anche online – non solo e non tanto per il narcisismo avido delle femmine, o per le loro miserabili necessità di vita cui sono spesso costrette, ma per le depravazioni maschili. Per le loro fantasie che, come ha scritto Alberto Vito in questi giorni su @ltroPensiero.net , li allontanano dal sesso reale per quello virtuale che risulta eccome appagante, perché alla fine non paghi e non devi nemmeno chiamare un taxi.
Lo squallore dell’ampia fetta di umanità che ne è coinvolta a tutti i livelli è desolante, non ci dà alcuna indicazione di via di uscita. Provo ribrezzo anche per i colleghi che – come detto – definiscono Michelle “influencer”, che esaltano i suoi numeri social, che enfatizzano i successi delle sue iniziative.
Non sono un bacchettone e mi è capitato di frequentare siti porno, alzi la mano l’uomo che non ci è cascato, ma ho posto dei limiti alla mia decenza e a quello straccio di moralità che mi rimane. Non è molto, ma se vi ricorresse anche la parte incontaminata del cervello e dei sensi di qualche altro “maschio”, una speranza l’avremmo. E’ un problema di neuroni, purtroppo, oltre che di educazione e di cultura. E’ un problema di degrado, di valori che rotolano su una tastiera e pagano per far rifare a un’influencer di strada un paio di tette che non toccheranno, e (quasi certamente) nemmeno vedranno mai.