di CRISTIANO GATTI – Uno lo eliminarono il 23 maggio, l’altro due mesi dopo, il 19 luglio. L’anno lugubre e funereo era il 1992. Nel giro di così poco tempo, il male si liberò di una gran bella fetta di bene. La mafia si liberò dei due avversari più pericolosi, Falcone e Borsellino.
Da quella volta, ormai sono quasi trent’anni, l’Italia ha imparato ad amare e a rimpiangere i suoi due eroi di Sicilia, trasformandoli velocemente in una persona sola, come recitano le targhe di tante scuole e di tante strade dedicate, Borsellinofalcone, Falconeborsellino.
L’impegno civile, il coraggio, l’arte investigativa, la dedizione a uno Stato che nemmeno li meritava: sono i tratti comuni e riconosciuti della tragica epopea. Eppure, sopra tutto l’eroico patrimonio da insostituibili magistrati, personalmente è il risvolto apparentemente più intimo, meno pubblico, che mi resta davvero addosso della loro storia terrena: l’amicizia, il sodalizio, la complicità, l’affiatamento. Non hanno vissuto tantissimo, non quanto meritassero, non quanto noi necessitassimo, ma hanno vissuto tutto il tempo pieno di un’invidiabile fortuna: la stessa vita nel nome delle stesse idee, degli stessi valori, degli stessi scopi.
Non è da tutti, non capita così spesso. Chi lungo il suo percorso incontra una particolare persona, magari da ragazzo, da giovane, proprio agli inizi della strada, e poi con questa persona riesce ad affrontare le grandi prove e le grandi domande della vita, sostenendosi, consolandosi, sopportandosi, crescendo e migliorando assieme, assaporando quel poco di felicità e lottando contro quel tanto di sofferenza che la vita comporta, chi ha questa possibilità può solo chiamarla fortuna.
Falcone e Borsellino hanno conosciuto e assaporato questa misteriosa alchimia. Crescendo assieme, non solo nel tempo, loro sì hanno lasciato un’impronta sul mondo. Loro sì hanno fatto compiere un passo avanti all’umanità. Loro sì hanno assaporato il divertimento impagabile dell’onestà.
Borsellino, in aggiunta, ha dovuto sopportare due mesi di solitudine, dopo l’attentato al fratello di ideali e di missioni, piangendo e rimpiangendo, brancolando nel senso di vuoto e di gelo che prima non aveva mai conosciuto, camminando al fianco del suo inseparabile Giovanni.
L’idea che satana in persona abbia deciso di spazzarli via insieme, uno dopo l’altro, in così poco tempo, è in definitiva la conferma più cruda che quelle vite e quelle idee fossero legate inscindibilmente, che non potesse esistere l’uno senza l’altro, che dopo aver condiviso la vita dovessero affrontare insieme anche l’oltrevita.
Noi, qui, ogni anno li ricordiamo, chi con tanta nostalgia, chi con tanta ammirazione, chi magari con forti sensi di colpa, per non averli capiti e non averli aiutati come meritavano.
Su tutto, però, questo tenero e insondabile sentimento di invidia romantica: sono martiri, sono anche un po’ santi, avranno il premio eterno che si meritano, ma già su questa terra si sono goduti il privilegio dell’amicizia più bella. E’ l’amicizia che lotta per qualcosa di degno: un bicchiere insieme al tavolino di un bar, la giustizia giusta che rende libera la vita degli uomini.