di LUCA SERAFINI – Grazie. È la sola e unica parola che Mario Balotelli deve pronunciare a questo punto della sua vita. Grazie.
Ho sempre avuto un sentimento di compassione e benevolenza nei suoi confronti: nessuno di noi può sapere o capire cosa squassa l’animo di un bambino (poi adulto) abbandonato in fasce in un ospedale, adottato e cresciuto come mascotte, affidato a una famiglia, che poi ritrova la sua che però lo respinge una seconda volta, salvo tornare a cercarlo quando comincia a diventare ricco e famoso. Non abbiamo davvero diritto di scavare.
E però. Però. Piano piano la sua esistenza gli ha restituito qualcosa, ma senza rimettere ordine nel suo cuore e nella sua mente. Ha ricevuto le cure e l’affetto della famiglia Balotelli, che tra parentesi ho conosciuto – in particolare la sorella Cristina (giornalista) – e apprezzato. Ha avuto talento, che gli ha consentito di approdare in fasce all’Inter e diventare presto amato e decisivo in nerazzurro. Ha incontrato Roberto Mancini, che non ha mai smesso di amarlo e coccolarlo. Ha guadagnato fama e soldi, con la possibilità di avere una famiglia unita e unica attraverso l’amore e la paternità, ma ha disintegrato tutte le chances. Troppo forte, ingestibile l’inquietudine, la ribellione, quella sindrome da accettazione che dopo i gol gli disegna un’aria di sfida sul volto piuttosto che la gioia.
Non riesco, non sono mai riuscito a linciarlo. Quel vuoto nell’adolescenza non mi dà la forza di condannarlo, ma la rabbia sì, la rabbia la provo. Perché uno come lui ha avuto sul vassoio piatti interi di riscatto, occasioni uniche di esempio per dimostrare che nella vita si può tutto se destino e volontà te ne danno modo e opportunità. Mario ha continuato a prendere tutto a calci, pallone e giorni, scegliendo la rinuncia invece dell’accettazione. Provo rabbia, ma proprio non riesco a condannarlo.
Mi raccontava Salvioni, ex giocatore del Brescia e uno dei suoi primi allenatori, che a 8-9 anni, dopo una finale vinta grazie ai suoi gol, al fischio finale mentre la sua squadra di ragazzini esultava, lui andava a consolare uno a uno gli avversari. Mi è sempre rimasta in mente quell’idea di Balotelli, con il dubbio di cosa sarebbe stato con una famiglia sua.
Oggi non gli restano che mille grazie in tasca. Da distribuire a tutti quelli che lo rimettono in piedi ogni volta. Come il suo procuratore Mino Raiola, da tutti dipinto come uno squalo sanguinario e invece appiccicato al suo Mario sempre senza alcuna esitazione, capace di ritrovargli un contratto e una squadra dopo ogni malefatta. Ora anche ad Adriano Galliani, che dopo il Milan gli regala anche il Monza per dividere il sogno della serie A.
Non un grazie a parole, ma un grazie sincero e sentito che dimostri come finalmente Mario abbia fatto pace, sommando ciò che la vita gli ha restituito dopo averglielo tolto: l’amore perduto di una famiglia e ritrovato in un calcio normalmente insensibile e senza cuore.
Hai proprio ragione Luca anche a me non piace il suo atteggiamento e penso che sia stato un ragazzo molto fortunato nonostante tutto e sarebbe veramente indispensabile spunto che impari a dire GRAZIE