MA NON ERA IL CAIMANO?

di GIORGIO GANDOLA – Hanno sbiancato il Cavaliere nero. Non si tratta di un blitz notturno dei cacciatori di statue degli schiavisti del ‘600 (a proposito, scomparsi, sono i vantaggi dello smartworking), ma di un’operazione politica pianificata dal governo: beatificare Berlusconi.

È bastato che il vecchio leader desse la disponibilità a realizzare una finanziaria condivisa “perché l’emergenza impone una convergenza”, che l’intera maggioranza lo abbracciasse come garante dell’unità nazionale. L’esecutivo che al Senato può andare sotto anche sulle nuove divise dei postini ha trovato in lui “le energie migliori e necessarie” (Zingaretti), ha valutato che “la maggioranza può essere allargata” (Renzi), ha stabilito che “il segnale di apertura di Forza Italia è positivo” (Bettini). Aiuto, la sinistra ha sdoganato Berlusconi. Più che una notizia è una sentenza di Cassazione.

Contrordine compagni: lo psiconano (copyright Beppe Grillo) è diventato alto. Ha il capello naturalmente corvino e il profilo da statista. Venticinque anni di character assassination buttati via. Coloro che per un quarto di secolo hanno sudato di bestia per scavargli la fossa, oggi sembrano attraversati da una scarica elettrica: ecce homo.

Era il caimano, adesso è un delfino; per salvare il governo va bene anche lui. Con quel che ne consegue nel nome della coerenza. Immaginiamo Gianrico Carofiglio pronto a passare a Mondadori, Michela Murgia mentre sbianchetta il suo ”Istruzioni per diventare fascisti”, il filosofo organico Umberto Galimberti già sbilanciato sul saggio ”Uno, nessuno, dieci Cav”. Roberto Benigni prima o poi lo prenderà in braccio al festival di Sanremo.

La marcia di avvicinamento è cominciata la settimana scorsa quando i dem hanno votato la legge “salva Mediaset”, che solo dal titolo avrebbe trasformato le piazze in un’onda rossa ai tempi di D’Alema. La decisione di salvaguardare le aziende strategiche italiane da scalate estere è giusta e arriva perfino tardi. Ma a Roma era stata sempre respinta con indignazione dal lato sinistro dell’emiciclo: “Vergogna, qui si cede al conflitto di interessi”.

Ora non si cede più, anzi tutto ciò ha un che di nobile. Sembra superato anche il veto del Movimento 5Stelle, sono lontani i tempi del famoso botta e risposta con Luigi Di Maio. Berlusconi: «I grillini sono più pericolosi dei comunisti, non ne prenderei uno neppure per gestire i bagni delle mie aziende». Il ministro degli Esteri dal congiuntivo a tradimento: «Ha fatto il suo tempo, ha fatto solo danni. Cerca visibilità e va compatito».

Tutto cambiato, si riparte dal via. Nessuno stupore perché la politica è l’arte del possibile, ma anche l’apparato digerente ha un limite. Dopo averlo cacciato dal parlamento con un blitz giudiziario, dopo averlo spernacchiato mentre Angela Merkel lo annientava a colpi di spread, dopo averlo definito capo della mafia, tangentista seriale, molestatore di minorenni, sdoganatore di missini e secessionisti, gli strateghi del Pd vedono solo cene eleganti. Pregiudicato? Quando mai, da domani vale il diritto all’oblio.

Il Quarto Stato davanti al videocitofono di Arcore è uno spettacolo impagabile. E risponde anche a un riflesso condizionato della sinistra italiana: la pretesa superiorità che porta al capriccio infantile di scegliersi non solo gli alleati, ma anche gli avversari.

Oggi Salvini il Barbaro e Meloni la Sovranista fanno elettoralmente più paura, quindi sono gli impresentabili. Mentre il Cavaliere rivestito a nuovo è pronto per essere portato in processione alle feste dell’Unità come Indro Montanelli al crepuscolo.

Davanti a tutto questo, Mister B si sta divertendo, sa che il finale è già scritto. Lo abbracceranno stretto anche se è vietato, gli prometteranno il Quirinale, prenderanno i voti per tirare a campare. Poi lo abbandoneranno al suo destino, ricordandogli i danni irreversibili di “Drive In” sulla psiche degli elettori.

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