MA IL MINISTRO CINGOLANI SOGNA DIGITAL MANAGER O PERFETTI CRETINI?

Roberto Cingolani, il Ministro della Transizione Ecologica dell’attuale governo, non è un fesso qualsiasi: non è, per intenderci, un garzone di panettiere balestrato in qualche dicastero dalle alterne e onnipotenti bizzarrie della sorte. E’ un normalista, un ordinario universitario: insomma, è uno che dovrebbe sapere quel che dice e quando e dove dirlo.

Il dover constatare che anche uno così si possa unire al coro delle sciocchezze che salgono al cielo, sull’argomento educazione scolastica, francamente, mi fa cadere le braccia: in televisione, infatti, Cingolani ha detto, papale papale, che studiare quattro volte le guerre puniche non serve a nulla. E, fin qui, possiamo anche dargli ragione: se uno ha bisogno di quattro passaggi per studiare tre guerre, la sensazione che fargliele entrare in testa sia operazione vana ci può sfiorare: fatica inutile, più che disperata. Però, rincarando la dose, il nostro Ministro ha aggiunto che occorre più cultura tecnica: servono, ad esempio, più digital manager.

Ora, a parte che non ho chiarissimo cosa faccia precisamente nella vita un digital manager, proviamo ad esaminare, con mente serena, se possibile, l’evoluzione della scuola italiana degli ultimi decenni, così, tanto per vedere se Cingolani ha ragione oppure no.

La scuola moderna, da noi, nasce con la riforma Gentile del 1923: essa partiva dalla deprecabile idea che non tutti fossimo, per così dire, equipollenti e intercambiabili, per cui il filosofo attualista immaginò due diversi percorsi. Il primo, quello che avrebbe dovuto forgiare la classe dirigente, ruotava intorno al liceo classico: solo alle guerre puniche, magari, no, ma, più o meno, a quelle cose lì. L’altro, quello, a quanto pare, più caro a Cingolani, avrebbe, viceversa, dovuto formare i tecnici: ossia quelli che sanno mettere in pratica le idee, magari un tantino astratte, dei primi.

Non andò precisamente così, perché spesso furono proprio persone uscite dal classico a diventare i tecnici migliori, ma tant’è. Il contrario avvenne solo in due casi, sia pure eclatanti: Quasimodo e Montale. Il primo era un geometra, ma tradusse egregiamente i lirici greci; il secondo era un ragioniere, tuttavia trascurò negligentemente la computisteria, a favore della lirica. Se ci fosse stato Cingolani, al posto di Gentile, avrebbe detto: largo ai geometri e ai ragionieri (ossia agli istituti tecnici): basta con Annibale e Scipione! E noi avremmo avuto un geometra e un ragioniere in più, ma qualche premio Nobel in meno. Amen.

La riforma del 1923 resse all’urto del secondo dopoguerra, ma non potè nulla contro l’azione formidabile e coordinata dei donmilanisti e dei sessantottini: sotto i colpi congiunti dell’”I care” e del vietato vietare, l’edificio gentiliano iniziò a scricchiolare. Ci furono le sperimentazioni, i decreti delegati, l’assemblearismo, il facilismo, l’inclusione, fino ad arrivare alla scuola odierna. In cui, magari non si studiassero più le guerre puniche: non si studia tout court.

E il ventre molle di questa realtà in sfacelo sono proprio gli istituti tecnici: liceizzati nel curricolo, catastrofizzati da mille discipline laboratoriali, presentate come meravigliose negli open day e poi rivelatesi poco più che fuffa, devastati da una falsa idea di egalitarismo un tanto al chilo che si traduce in un vergognoso liberi tutti.

E su questo dovremmo puntare, secondo Cingolani? A un’idea educativa che produca deficienti che schiacciano pulsanti? Se li vuole vedere, i suoi digital manager di domani, si faccia un giretto, all’intervallo, in una scuola qualunque: li vedrà, i futuri digital manager, ognuno nella sua bolla di solitudine nevrotica, ognuno col suo smartphone, a digitare freneticamente, dietro a qualche giochino elettronico per mentecatti.

Venga, Cingolani, anziché proferire apoftegmi a casaccio su realtà che non conosce neppure per sentito dire. Venga a vedere: non sto scherzando. E vedrà che bella umanità stiamo costruendo, sulla base di sparacchiate pseudoformative, come la sua: un’umanità di cloni senza futuro né passato, concentrata solo su di un presente che non capisce, di cui nemmeno coglie l’essenza o che si rifugia in un universo parallelo, fatto di suoni e lucine colorate.

Perché l’uomo cerca la felicità, Cingolani: non cerca denaro, efficienza, produttività. Non è un ingranaggio o, nella migliore delle ipotesi, una macchina, come nella società che si immagina lei: è dolore e nostalgia, piacere ed entusiasmo. Sarebbe sufficiente leggersi un po’ di Platone per capirlo. Ma lei non lo capisce, evidentemente, perché non lo vuole capire: è un normalista un po’ troppo normale.

Eppure, basterebbe levarsi la benda per cinque minuti per osservare il baratro verso cui ci stanno portando certe idee balzane. Non idee sulla scuola: idee sull’essere umano. Che, alla fine, sarà pure un digital manager, ma avrà perso la propria civiltà, le proprie radici, la propria identità: sarà proprio come lo volete voi. Un cretino funzionale.

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