MA CHI HA DETTO CHE CHI PUBBLICA DI PIU’ E’ PIU’ BRAVO

L’idea di valutare i ricercatori e gli accademici in base alla qualità delle loro pubblicazioni scientifiche in sé è corretta. Si presume che uno scienziato bravo produca ricerche mentre quello meno bravo pubblichi meno. Tuttavia, ottenere cattedre, finanziamenti per ricerche, incarichi in base (non solo, ma in modo rilevante) alla quantità di pubblicazioni è un sistema che ha creato molte storture.

Può sembrare una questione poco rilevante, ma non lo è affatto e, oltre a muovere un business mondiale non da poco, questo sistema ha ormai parecchi inconvenienti seri. Moltissime pubblicazioni servono esclusivamente ad ingrossare i curricula degli autori, spesso disposti a pagare per ottenere tale vantaggio. Nel 2022 si valuta in 5 milioni il numero di articoli scientifici pubblicati, ovvero un milione in più di soli quattro anni prima, e l’editoria scientifica vanta un fatturato di 30 miliardi di dollari (il 40% negli Usa). Il campo biomedico è di gran lunga quello più ricco e diffuso. Lecito dubitare che vi sia stato un effettivo eclatante progresso scientifico ed è più facile immaginare che si tratti di una distorsione del sistema a vantaggio di pochi. Anche le regole della peer review (revisione tra pari) e dell’impact factor paiono insufficienti ad arginare questo fenomeno. Perfino l’open access, nato con l’avvento del web con fini apprezzabili, ovvero la diffusione della conoscenza, si è trasformato in un boomerang, in quanto c’è chi pubblica di tutto, senza alcuna selezione, in cambio di un contributo dell’autore.

A parte gli aspetti economici ed etici (si spezzettano ricerche, si firmano articoli in cui non si è lavorato, scambiandosi favori o ubbidendo alle richieste dei superiori gerarchici) vi è un danno non trascurabile: un ricercatore è costretto a perdere ore e ore di lavoro per studiare, all’interno di una mole così estesa di informazioni, cosa sia davvero rilevante e cosa sia copia o poco più. Questo provoca un rallentamento dell’opera di chi è davvero capace di produrre scienza.

Tuttavia, dove girano molti soldi è evidente che diventa difficile modificare un sistema, pur in presenza dei suoi danni effettivi. Il dato principale è che le riviste e gli editori non nascono più allo scopo di diffondere e migliorare idee, ma per ottenere profitti. Ed è ovvio che una lobby così potente non sia disposta a modificare le regole del gioco. Una delle tante contraddizioni del libero mercato.

Chi è interessato a questo tema può leggere il recente volume di Luca De Fiore, direttore de Il Pensiero Scientifico Editore, dal titolo “Sul pubblicare in medicina”, che oltre a descrivere in modo chiaro e dall’interno le patologie di questo sistema, suggerisce anche delle possibili soluzioni.

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