L’UNICO DA ASCOLTARE E’ PATRICK

di MARIO SCHIANI – Segnatevi questo nome: Patrick Hutchinson. Potrebbe essere lui la soluzione ai nostri problemi. Patrick è un aitante giovanottone dalla pelle nera che di mestiere fa il “personal trainer”, ma a quanto pare non è soltanto ai problemi di tonicità muscolare che riesce a porre soluzione. Il suo nome è finito nelle cronache perché, nel bel mezzo degli scontri scoppiati a Londra tra manifestanti del Black Lives Matter ed estremisti di destra, è intervenuto a tirar fuori dei guai un giovanottone aitante come lui ma di colore diverso: un bianco, uno di quelli per cui le “Black Lives” non “Matter” per niente o molto molto poco. In parole nostre, un razzista.

Le foto di Patrick che si carica sulle spalle il supposto nazista strappandolo a una folla che lo stava gonfiando come una zampogna hanno fatto il giro del mondo e le sue dichiarazioni successive altrettanto: “Ho voluto evitare una catastrofe: improvvisamente da Black Lives Matter passavamo a Giovani Uccidono Manifestanti. Un messaggio che ho voluto scongiurare”.

A sottolineare il significato del suo intervento, Hutchinson ha ricordato l’episodio dell’uccisione di Floyd: “Se i colleghi del poliziotto che lo ha soffocato invece di stare in piedi a far niente fossero intervenuti, George sarebbe ancora vivo”.

Patrick, insomma, dice di aver agito non tanto per salvare il nazistone in sé, anche se lo spettacolo di vederlo pestato a sangue deve per forza averlo toccato, quanto la purezza della sua idea, la coerenza della sua protesta, messa a repentaglio dalla rabbia e dalla violenza. Intervenire di fronte al male, suggerisce, è sempre un dovere: anche quando, in apparenza, tradisce la lealtà che si vorrebbe imposta verso chi porta la tua stessa uniforme o manifesta nel tuo stesso schieramento.

Magari non se ne è accorto, ma Patrick ha fatto suo in un colpo solo il messaggio di Cristo e quello di Voltaire, ha sposato l’amore per la causa e la tolleranza, ha unito cuore e ragione, pietà e strategia, istinto e intelletto. Un risultato non da poco nel bel mezzo di una gigantesca baruffa metropolitana.

Il messaggio sembra particolarmente significativo in quanto emerge in un contesto globale in cui la contrapposizione violenta – verbale, psicologica, fisica – rappresenta la normalità, lo status quo. Nei post ci si compiace perché questo “umilia” quest’altro e tizio “asfalta” sempronio. Le idee non di discutono ma si “attaccano”, con gli avversari non ci si misura ma si provvede a “distruggerli”. Patrick ci ricorda che c’è un limite da rispettare e un paradosso da evitare: se la difesa della nostra idea comporta la distruzione di quella altrui, l’idea che prima di tutte ne esce svilita è proprio la nostra. Non è il caso di trasformarci in esseri disimpegnati e indifferenti, ma la faziosità in servizio permanente effettivo è cecità morale e con questa non si arriva da nessuna parte.

Resta da immaginare che cosa proverà l’estremista di destra quando, rientrati i bernoccoli, si troverà a riflettere sull’accaduto: rivedrà le sue posizioni in termini di razza, riconoscerà il valore generale della solidarietà, o preferirà rintanarsi di nuovo nel gruppo, dove forse dovrà affrontare ostilità e ironie per essere “quello salvato dal negro”?

Ci sarà senz’altro una narrativa su misura pronta ad accoglierlo, una tesi che rilegge l’accaduto puntando sulla ferocia del tanti che lo menavano in contrapposizione all’unico che è intervenuto a salvarlo. Però neanche lui potrà negare il fatto che la ragione attecchisce sempre nell’individuo ed è nel singolo che matura un’idea nuova, coraggiosa, originale. “Il vero boia è la massa” diceva Elias Canetti. Un Patrick alla volta, aggiungiamo noi, le impediremo di stringerci il cappio al collo.

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