di GHERARDO MAGRI – Come spazzare via con un braccio una scrivania stracarica di cose per fare piazza pulita del disordine.
Questo è l’effetto del recente spot istituzionale Lavazza nei confronti di tutte le altre comunicazioni pubblicitarie di questi tempi.
Parlo subito delle rutilanti réclame che si assomigliano tutte. I primi a muoversi sono stati perlomeno originali, ma adesso è un’alluvione di messaggi di gente che ti vuole stare vicino e che ti sussurra che andrà tutto bene.
Calma, intanto manteniamo il distanziamento sociale, e poi sopra i 200 decessi giornalieri non puoi parlarmi di qualcosa che andrà bene, suona molto male. Si assomigliano tutti, gli stessi proclami sinuosi, le identiche melodie col piano in sottofondo e le facili promesse di soluzioni apparentemente a portata di mano. Nessun colpo d’ala, niente di autentico, una melassa che non convince nemmeno chi li ha prodotti, secondo me. Marketing primordiale, bocciatura totale.
Qualcuno si salva almeno sul contenuto. Per esempio Levissima, che comunica di aver convertito l’intero budget pubblicitario del periodo in aiuti umanitari. Non solo purissima e altissima, anche bravissima. Così poche altre aziende che hanno fatto della solidarietà un progetto duraturo e non estemporaneo.
Parliamo adesso dello spot che li cancella tutti: quello del famoso caffè, costruito su un estratto del discorso originale di Charlie Chaplin, con la sua voce originale in inglese e sottotitolato in italiano. E’ preso dall’inimitabile discorso all’umanità del film “Il Grande Dittatore” del 1940. Viene voglia di correre a riascoltarlo, tanto forte è il suo significato. Così potente ancora e così attuale oggi. Farci ascoltare le parole pronunciate con grande enfasi dal grande attore e farci fermare un attimo a riflettere è il suo più importante risultato. Volare alto anche solo per un momento.
Per qualche istante non penso al prodotto pubblicizzato e agli scopi commerciali per cui è stato creato. Parlo da uomo di marketing che ne ha viste tante, non mi sento un pivello che cade nella prima trappola. So distinguere abbastanza bene i contenuti dagli obiettivi. Parlo di visione e non di target, di ispirazione e non di manipolazione, di segno e non di sfregio.
Ammiro anche la realizzazione perfetta dei sessanta secondi ad opera di una famosa agenzia di pubblicità, delle magnetiche immagini di uno dei migliori fotografi del mondo – Steve McCurry – e della musica ideata da quella persona speciale che è Ezio Bosso.
Il colpo da maestro è l’hastag finale #TheNewHumanity, che esprime un progetto di grande respiro, ricco di tante altre cose. Soprattutto di speranza e di impegno.
Gentile Magri, lei ha ragione quando dice che questo spot fa fermare per ascoltarlo. In effetti però, a pensarci bene, io mi fermo per leggere i sottotitoli perché mentirei se dicessi che capisco quello che Chaplin dice. E intanto che leggo i sottotitoli, guardo le immagini e ascolto la musica (e adesso, grazie a lei, ho scoperto chi firma entrambe). Lo spot provoca, in effetti, sensazioni molteplici e sa una cosa? Alla fine, quando finalmente si capisce che sta pubblicizzando un caffè (perché mica l’avevo visto il quadratino in basso a destra col marchio), la mia reazione è sempre quella di pensare “ma cosa c’entra?”. Quindi, in ultima analisi, non so se in relazione al fine ultimo di pubblicizzare la marca Lavazza sia proprio efficace. Certo è un capolavoro, ma forse non è immediato quanto uno spot dovrebbe essere.
A me piace molto, invece, la pubblicità Foxy, con l’animazione della volpe che raccoglie la mascherina per portarla in ospedale. Tenera, facile, senza troppe pretese e senza troppe parole. Saluti.