Non si segnalano lacrime, stavolta il figlio non è piezz’ e core, il popolo del ciuccio non ha mai amato davvero il ragazzo spocchioso che addirittura ha indossato la maglia con il dieci, roba più sacra del sangue di san Gennaro. Lorenzo è stata una fotografia sfocata, mai nitida davvero, ombra sullo sfondo, raramente chiara in primo piano.
Eppure la sua commedia di mercato pallonaro è diventata ‘na sceneggiata che neppure Mario Merola avrebbe immaginato. Insigne ha respinto l’offerta dell’Aurelio presidente che lo voleva ancora a registro per milioni quattro, i canadesi gli hanno fatto annusare il triplo più varie ed eventuali, Toronto conta seicentomila immigrati italiani, la colonia napoletana è folta assai, Lorenzo si troverà come a casetta sua, tra gli onori di chi abbisogna di un po’ di profumo del paesello natio.
Il resto è roba piccola, Napoli se ne fotte e chiagne, Insigne va via come Lavezzi e Higuaìn, Cavani e Hamsìk, nessun rimpianto, nessuna contestazione sotto la dimora del presidente, l’amore non è mai stato verace, il cuore del San Paolo che fu è ancora caldo e porta le stimmate di Diego Armando, qualunque altro, prima, durante e dopo, è pinzillacchere, bazzecole, quisquilie.
Le immagini della firma con i canadesi, in un albergo di Roma, appartengono al buffo mondo del calcio nostrano: riuniti attorno a un tavolino, come a pagare lo scontrino di due babà e una fetta di pastiera, hanno definito il tutto per poi svignarsela, evitando commenti, parole, frasi. Lorenzo sembrava più basso di sempre, non è un’offesa, quando fece il provino con il Toro e l’Inter, lo bocciarono con la scusa dei centimetri: “Bravino però bassino”. A Toronto non hanno problemi, Insigne ha le stesse misure di Giovinco, non sarà necessario riordinare le divise.
Napoli continua a vivere i suoi psicodrammi, la morte di Diego, quella del fratello Hugo, la partenza di Lorenzo, ‘o capitano. Prevedo che qualcuno ritirerà fuori la mano di Dio.