L’OMBRA LUNGA DEL THAILANDESE

di GIORGIO GANDOLA – “Quale ombra? Io sono solo ingombrante”. Risponde così a tutti, Goffredo Bettini (nella foto), con una battuta che tende a smontare l’accusa di tessere la tela con il favore delle tenebre.

Eppure se si guarda bene nella storia del Pd, dietro Rutelli c’era lui, dietro Veltroni c’era lui, dietro Zingaretti c’è lui, il sergente Garcia romano e senza baffi, che prese la tessera del Pci a 14 anni, crebbe nella Fgci con Massimo D’Alema e adesso li ha sorpassati tutti. Dicono che dalle parti del Nazareno non si muova foglia che Bettini non voglia.

Ha stupito una recente intervista rilasciata al “Corriere della Sera” nella quale, parlando delle dimissioni di Zinga, diceva nell’ordine: ”Il trauma è stato forte anche sul piano personale”, ”Oggi il Pd ha due questioni da risolvere, la forma del partito e i suoi compiti”, ”Enrico Letta è una figura forte, non avrei alcuna preclusione a sostenerlo“.Fatta la tara per l’inarrivabile modestia sorge spontanea la domanda retorica: ma lei chi è, Gramsci, Togliatti o Berlinguer?

Perché spulci i manuali (e anche Wikipedia) e scopri che Bettini non si candida a nulla da un decennio, che ha sempre sguazzato con le pinne dritte dentro la sinistra romana, che alle luci della ribalta predilige le penombre delle trame politiche. E da qualche tempo si è autoproclamato ideologo del Pd. Anzi di tutta la sinistra disunita, una specie di commissario tecnico dell’internazionale rossa.

Nonostante la circonferenza, la sua massima preoccupazione è non farsi notare. Fanatico dell’understatement, è soprannominato “Il monaco” per via dei camicioni portati sopra i pantaloni e per la vita frugale in abitazioni molto piccole.

Eppure suo padre (avvocato penalista) gli ha lasciato un miliardo di lire in eredità, ”ma ho dissipato tutto per fare politica”.

Un giorno Cesare Romiti gli disse: ”Allora ci vediamo nel solito scantinato?”. Pensava a un certo ufficio malmesso. Bettini rispose paziente: ”Veramente in quello scantinato io ci abito”.

Quando vuole rilassarsi parte per la Thailandia dove ha un cottage e cura il festival del cinema italiano a Bangkok, Manila e Hanoi. Per questo Matteo Renzi, dopo le sue esternazioni sugli assetti della sinistra in piena crisi di governo Conte bis, diceva: ”Ha parlato il capo della corrente thailandese”.

Bettini ha 68 anni e una seconda passionaccia, il cinema. Racconta di essere diventato comunista grazie alla corazzata Potemkin, quella che faceva uscire di matto Fantozzi. “A me cambiò la vita al contrario, andai a vedere una rassegna di cinema sovietico e mi innamorai del Pci“.

Oggi è corteggiatissimo dai giornali, un sospiro di Bettini è un titolo perché è lui a dettare la linea. Una rivincita sul suo amico D’Alema, che da giovane già se la tirava da miglior fico del bigoncio.

C’è un aneddoto illuminante sul tema. Negli anni ‘70 i due vanno in Spagna per una missione politica e dormono nella stessa stanza per risparmiare. ”Lui era a letto con un saggio in mano“, confida Bettini a Luca Telese in un’intervista. “Gli dico: Massimo, parliamo. Lui mi guarda di sottecchi e risponde: preferirei di no. Quando non si ha nessuno con cui si può discutere in maniera intelligente, leggere può essere la cosa migliore”.

Oggi dentro il partito in ebollizione gira una frase criptica solo all’apparenza: ”L’uomo conta ma non si sa se sposta”. Lo spifferano dal Nazareno adducendo la sua idiosincrasia per le campagne elettorali; insomma non si sa se il Richelieu rosso verrebbe votato almeno dai parenti. A lui importa zero, continua a dettare la linea, a fare la classifica dei buoni e dei cattivi, a sostenere che l’unica strada è l’alleanza strutturale con il Movimento 5Stelle. Non per una particolare simpatia per Grillo e Di Maio, ma anche qui per calcolo politico: ”Bisogna evitare che si insedi per forza d’inerzia un corpaccione centrista e senz’anima. A questo punto divamperebbero di nuovo il populismo e l’antipolitica”.

I corpaccioni non li regge proprio perché hanno un difetto: negli scantinati stanno stretti.

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