L’OMBELICO SCOPERTO DELLA SCUOLA

Si sta montando un discreto cinema sulla faccenda della professoressa e dell’alunna con la pancia di fuori: una studentessa di un liceo romano stava mandando su TikTok delle sue foto, indossando una specie di bralette, che l’insegnante ha ritenuto troppo succinta, apostrofando l’aspirante modella in maniera, diciamo così, inelegante.

Questo, ovviamente, ha scatenato un putiferio di commenti sui social: dallo scalfariano che pontifica sui giovani d’oggi e sui loro costumi, alla Janis Joplin de noantri, che sta senza esitazioni con la ragazzina. Visto che a me la scuola, questa scuola, ormai fa un po’ senso, ma mi fanno senso anche TikTok e le sbarbine in vena di pubblicità, vedrò di spargere acido cloridrico su tutti, imparzialmente.

Cominciamo dall’insegnante. Intanto, va da sé che una professoressa, aliter un’educatrice, non possa dare della battona, senza mezzi termini, a una propria alunna (“Ma che, stai sulla Salaria?”): il che pare essere precisamente ciò che è avvenuto in questo caso. Quindi, per certo, l’insegnante ha gravemente mancato alla propria deontologia professionale: magari, chissà quante volte certe cose si pensano, ma dirle è un’altra cosa. Aggiungo che è esplicitamente vietato fare fotografie o filmati in classe, quindi la ragazzina andava ripresa o censurata perché fotografava e inviava, semmai, e non per la sua mise.

Quanto alla mise, da che mondo e mondo gli studenti seguono le mode del momento: il giubbotto di loden o quello di pelle, le Clark’s o le Nike, la felpa o il maglioncino. In questi tempi, calamitosi per la cultura e per l’arte, anche le mode giovanili si adattano alla clientela: raramente mi è capitato di vedere monture più desolanti di quelle che indossano gli adolescenti e le adolescenti di oggidì. Senza contare che, effettivamente, l’idea di “dress code” elegante delle diciottenni rammenta abbastanza drammaticamente il look delle peripatetiche d’antan. Ma questo non vuol dir nulla: ognuno si veste come gli pare e, anzi, ben venga il vestito per immaginare il monaco.

Credo che il problema sia un altro: questo bisogno disperato di apparire sui social. Questa idea di mostrarsi diversi da ciò che si è: di assumere pose da femme fatale o da macho, in questa specie di catalogo Vestro dell’autocitazione che è TikTok. Certo, i numeri sono impressionanti, ma i numeri non sono tutto. Se ti fai una foto con una scopa nel sedere e hai un milione di follower, non sei un drago: sei lo stesso cretino di sempre, con una ramazza nel boffice. Perciò, domandiamoci se questi social non si stiano pericolosamente sostituendo al mondo reale: se un like non valga per caso più di una carezza, e una visualizzazione più di una morosa.

Facendola breve, da qualunque parte la si giri, questa del liceo romano è una piccola storia ignobile: una storia di insegnanti esasperati e incapaci di gestire certe situazioni, di studenti narcisisti e social-dipendenti e di cattivo gusto. Soprattutto di cattivo gusto. E di gente che fa il tifo da stadio, laddove dovrebbe tifare, semplicemente, per il buonsenso. E spegnere il telefonino.

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