La prima, naturalmente, riguarda l’uso imbarazzante della lingua italiana, da parte della nostra gioventù in età scolare. La quale gioventù, ve lo rammento, crescendo cesserà di essere gioventù, divenendo popolazione adulta e mantenendo i medesimi, catastrofici, difetti linguistici. Vogliamo prendere atto della progressiva devastazione che il patrio idioma sta subendo o continueremo a far finta di nulla? Oppure, peggio ancora, spacceremo questa desolazione per un naturale evolversi del linguaggio che, da un lato, assume neologismi demenziali alla ”potaloso” e, dall’altro, si appiattisce in un gergo monocronologico e monocromatico, alla maniera dei cinesi d’America, che dicono: yesterday I go, today I go, tomorrow I go? I nostri ragazzi, con le debite eccezioni, non sanno scrivere né parlare: coltivano una sorta di dislessia antropologica, che deriva loro da ciò che sentono in famiglia, a scuola, in televisione. La scrittura è, ormai, virata verso lo stampatello. La conversazione si limita a quelle ridicole pseudo-tenzoni che la scuola chiama “debates”. In televisione, uno che non sbagli i congiuntivi viene guardato come un ordinario di filologia alla Normale di Pisa. E San Giorgio a Cremano vale San Pellegrino Terme o San Miniato al Monte: non illudiamoci che si tratti di un fenomeno esclusivamente borbonico. Facciamo schifo da Courmayeur a Capo Vaticano.
La seconda considerazione riguarda, invece, l’idea che un ragazzino scriva al sindaco perché chiuda le scuole, per la pioggia. E, lasciatemelo dire, ha radici ben più borboniche, stavolta: deriva dall’idea spagnolesca della siesta, da una certa scarsa voglia di lavorare, coniugata con un concetto di dovere un tantino pencolante. Probabilmente, anche uno studente della val Imagna sarebbe tentato di saltare scuola, adducendo la ragione del temporalone, ma i babbi e le mamme della ridente vallata orobica, probabilmente, sono più inclini dei loro omologhi campani alla pedata nel preterito dell’erede. E, dunque, ripristiniamola su scala nazionale, questa benedetta lezione di vita: il calcione nelle parti molli, terapeutico contro l’accidia e propedeutico all’evitare redditi più o meno di cittadinanza. Il riscatto dell’Italia parte anche da qualche schiena più diritta: poco male se venga raddrizzata con le cattive. E i nostri fratelli campani, che hanno felicitato di voti, in massa, il M5S, in virtù delle sue opere di misericordia corporale, dovrebbero essere il punto di partenza di questa rinascita, proprio perché l’assistenzialismo, alla lunga, sarebbe la loro rovina.
Insomma, quella della letterina al Sindaco e della relativa risposta sarà pure una notizia marginale, ma è uno spunto di riflessione mica da scherzi. Verso quale orrendo abisso stiamo rapidamente accelerando, a forza di permissività, faciloneria, ignoranza, credo non sia mestieri dire. Vi ricordate la definizione manzoniana d’Italia, datata 1821? Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor. Oggi, di quella declinazione valoriale cosa resta? Un ragazzino che non ha voglia di andare a scuola, perché piove troppo assai. E lo scrive, perdipiù. Ora, scusatemi, smetto, perché sono troppo tanto deluso. E ha anche iniziato a piovere.