LO STADIO (SEMIVUOTO), UN LUSSO PER SOLI RICCHI

Capitolo I. Le retromarce. Gli stadi hanno riaperto, in percentuali crescenti di accoglienza, in sicurezza post (?) pandemia (il punto di domanda è d’obbligo perché i calciatori continuano a prendere il Covid, non si capisce bene il motivo). Il prezzo dei biglietti è esagerato: Milan, Atalanta e Roma, tra pochissimo Lazio, Napoli e soprattutto Juve (contro cui è partita la protesta) sono già state costrette a retromarce più o meno brusche, più o meno pubbliche.

Capitolo II. La pandemia non c’entra. Il sottosegretario allo sport Valentina Vezzali si è espressa proprio in queste ore sul caro-prezzi degli stadi: “La ripartenza per i club non è facile, ma veglieremo”. Non è vero: questa corsa sfrenata al soldo dei tifosi è datata, molto ma molto prima del Covid e della conseguente ripartenza. In un’inchiesta del 2004 (17 anni fa!) “Repubblica” scriveva: “Inesorabile e ostinata, la rivolta degli ultrà continua da mesi. Ma più degli scioperi delle curve, degli slogan e degli striscioni contro il carobiglietti e la tv onnivora, hanno potuto le cifre, inconfutabili: gli stadi italiani si stanno svuotando”. In uno studio del 2015 (6 anni fa!) “Panorama” rilanciava: “Il biglietto stadio in Italia (media 69 euro) è terzo dietro soltanto a Premier inglese (74) e Liga spagnola (70)”. In Germania, dove tuttora gli stadi sono sempre tutti pieni e dove gioca la squadra più seguita dal vivo al mondo, il Borussia Dortmund, il costo medio era 30 euro. Le proporzioni non sono rimaste le stesse: in questo momento specifico, i biglietti della serie A sono i più cari in Europa e quindi al mondo.

Capitolo III. L’ultima protesta. Scrive stamattina, 13 ottobre 2021, il “Messaggero” romano: “Il costo della passione sale. E l’aumento della capienza degli stadi dal 50 al 75% non sembra aver giocato in favore dei tifosi. L’ultimo grido arriva dal gruppo ultras della Roma dei Fedayn (‘Juve-Roma: 57 euro più commissione, non meritate la nostra passione’, lo striscione apparso nella giornata di ieri), che non hanno accettato di buon grado le tariffe per il settore ospiti dello Stadium . L’inflazione non ha però coinvolto solamente il club bianconero: la Lazio, ad esempio, ha ritenuto opportuno mettere in vendita gli ingressi (a tariffa intera) di curva per la sfida con l’Inter a 40 euro, in calo a quota 35 soltanto per gli ex abbonati.

Capitolo IV. Il moralismo. Si legge qua e là che i tifosi dovrebbero starsene a casa in poltrona. Ridicolo monito in un Paese che lotta per le riaperture e ancora disconosce come il pallone sia in Italia la 5a filiera per fatturato, nonostante i piagnistei (per crisi al limite dell’irreversibilità, dovuta alla malagestione e non certo al Coronavirus o alle tasse) dei presidenti. Alcuni dei quali così sfacciati da voler bussare al Governo per agevolazioni e tagli fiscali. Senza pudore né vergogna. Anche l’intrattenimento, per chi non lo sapesse, è un’azienda: se ne accorsero persino i Lehman Brothers 2 secoli fa, pensando di sommarla al loro impero nato con il cotone e proseguito con le banche. Abbiamo il diritto di andare al cinema, a teatro, allo stadio e casomai anche di starcene davanti alla tv a prezzi ragionevoli. Riuscendo magari anche a vederla, la tv (vero, DAZN?).

Capitolo V. Conti in tasca. Dunque, ad oggi chi tifa per una squadra italiana che gioca anche una coppa europea e volesse portare il figlio ad assistere, diciamo ogni mese a 2 partite di campionato e una di coppa casalinghe, spenderebbe complessivamente un minimo di 240/270 euro, benzina caffé panino e bandiera per il bambino esclusi. Partite non di cartello, si intende, perché se si tratta di gare importanti il prezzo sale.

Capitolo V (finale di stagione). L’equazione. Mi sono sempre chiesto che senso abbia avere gli stadi mezzi vuoti con i biglietti che costano una fortuna: non sarebbe meglio abbassare il prezzo e portare più gente? Soluzione troppo semplice e disarmante per presidenti che non capiscono, non sentono, spendono 100 se incassano 80, vivono di plusvalenze farlocche, fidejussioni a vanvera, doppie proprietà vietate ma tollerate. Presidenti che hanno bilanci sfasciati nell’indifferenza della Finanza, dell’erario, dello Stato, dell’Agenzia delle entrate. Che fanno dell’Avion – simpatica espressione usata in Spagna per indicare, se letta al contrario, la formula vincente “No iva” – un sistema collaudato attraverso vari stratagemmi. Che arricchiscono procuratori, ma anche allenatori, giocatori e dirigenti. In qualche caso, tipo De Laurentiis, se stesso e la sua famiglia.

No, signori. La pandemia che abbiamo conosciuto noi standocene a casa o girando con le mascherine, è assai diversa da quella che da decenni ha infettato il nostro calcio: quella si chiama avidità. E anche in questo caso, laboratorio e pipistrello hanno poca importanza nelle indagini, ma la medesima complice responsabilità, annidata nei cervelli malati di chi detiene il potere.

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