LO SQUALLORE DELLE MAESTRINE CHE DERIDONO L’ALUNNO AUTISTICO

C’è questa storia delle maestre che deridono un bambino autistico. Accade a Roma, la capitale. Si divertono utilizzando i social, se la spassano e se la passano su Whatsapp, riempiono il vuoto delle loro esistenze con i cattivi pensieri su una creatura ignara, per fortuna, di vivere in un mondo così arido e avido.

Miserie umane che però godono di privilegi: non è dato sapere chi esse siano, si usa dire ”docenti”, ma per ora ignote. Sarebbe invece doveroso e in fretta, per favore, conoscere e stampare le generalità, nome, cognome, altezza, colore degli occhi, stato civile, con allegate foto segnaletiche, di fronte e di profilo, così da informare parenti e vicini di che razza di ciurma si tratti e circoli a piede libero.

Un piacere perverso, soltanto questo può avere mosso al gioco di società, repertorio da campo di sterminio, questo l’odore schifoso e questa la memoria soffocante; magari, due secondi dopo, le stesse prefiche professano dolore per i morti di Busha, le vittime di Mariupol, bambini senza un tetto e una famiglia, piccole esistenze disperate, come non comprendere l’atto di dolore di queste insegnanti così coinvolte e partecipi ma con uno strazio a distanza, più comodo da frequentare, più facile da esibire.

Invece in classe via con il libere tutte, si va con le battute su quel pupo di 6 anni che sembra un po’ strano, la dotazione di lacrime e compassione è stata esaurita oltre cortina, i cassetti della commozione sono stati svuotati, meglio sfogarsi sul più fragile e mimetizzarsi nel canneto dell’uozzapp, raccolta indifferenziata di qualunque pensiero e parola, perché, dunque, non ritrovarci per una chiacchierata, nella famosa chatroom?

L’ora del the sostituita dal minuto del vomito, nascoste dietro le tendine dei social, le maestrine della penna rotta sono squallide naviganti in un mare di sterco. Il loro.

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