L’ITALIA DELLE INTELLIGENZE NON PUO’ CHIUDERE ZELIG

C’era una volta Milano che rideva, Milano che sfornava artisti e comici, Milano che tra un clacson e un cartellino da timbrare, tra le ciminiere e i grattacieli, la fretta e il lavoro, sapeva coltivare l’arte e lo svago. Cinema, teatro e locali notturni di alto lignaggio esistono e funzionano ancora, la rendono anzi la città più mondana d’Italia e oggi la seconda meta nazionale per i turisti. Ha sopravanzato persino Venezia e Firenze.

Eppure l’aria è malinconica quando si pensa ai templi sacri del cabaret, palestre per talenti divenuti patrimonio della nostra cultura, scavallando la semplice accezione della risata: pensiamo al “Derby” e ad Abatantuono, Jannacci, Cochi e Renato, Teocoli e Boldi, Funari, Andreasi, Beruschi, Bisio, Conti, Di Francesco, i Gatti, i Gufi, Gaber, Faletti…

L’elenco è sterminato e quel locale a pochi passi da San Siro iniziò il declino quando queste icone presero il volo verso il teatro, il cinema, soprattutto la televisione. Era il ritrovo di industriali e malavitosi, intellettuali e spiantati, radunava tutta la Milano che c’era senza ricordare un solo episodio, un solo evento di brutta cronaca, nonostante abitudini, usi e consumi di molti interpreti e di moltissimi privati.

Nacque il figlioletto “Zelig” dalla parte opposta della città, in viale Monza, quasi al confine con Sesto San Giovanni, ma i milanesi non persero l’abitudine. Sotto l’egida di Gino e Michele, affiancati da figure storiche che provenivano dal “Derby” come Bisio e Paolo Rossi, si esibirono su quel palcoscenico Silvio Orlando, Lella Costa, Angela Finocchiaro, Elio e le storie tese, Antonio Catania ma, soprattutto, il laboratorio creò in proprio il Mago Forest, Raul Cremona, Ale e Franz, Checco Zalone, Ficarra e Picone, Enrico Bertolino e moltissimi altri. Il marchio passò a Mediaset e nacque l’omonima trasmissione, mentre lo stesso Abatantuono ripropose una scuola per giovani ancora in una zona lontanissima da quelle del “Derby” e di “Zelig”: quel “ColoradoCafé” che si insediò a sud, in zona Ripamonti, nella “Salumeria della musica” di Massimo Genchi, e per un ventennio fu capace a sua volta di dare la luce a Chiodaroli, Battista, I turbolenti, Enrique Balbontin (il savonese), Beppe Braida, Giovanni Cacioppo, Rossella Brescia, Paolo Ruffini, Pino e gli anticorpi…

Anche “Colorado” finì in tv per molti anni, scomparendo nel 2019 (ultima edizione). Video killed the stage stars…, anche se alcuni di loro hanno intrapreso una buonissima carriera dal vivo. La “salumeria della musica” ha chiuso i battenti e ora sta sventolando bandiera bianca anche lo “Zelig”, che a maggio compirebbe 37 anni. L’affitto (3000 euro al mese) non è l’unica e certamente non la principale causa della crisi: i debiti ammonterebbero a quasi 34 milioni, il gruppo è sull’orlo del fallimento, la richiesta di concordato non è andata a buon fine e sono finite in liquidazione tutte le società annesse all’attività di “Zelig” (in particolare “Smemoranda group”).

Gino e Michele hanno scritto una lettera agli amici del cabaret, in particolare ai comici che sono passati da quei camerini, su quel palcoscenico. Chiedono che venga loro assegnata la produzione esecutiva della trasmissione televisiva “perché solo con questa entrata straordinaria saremo in grado di stare in piedi, tanto sono alti i costi di gestione”. Pensano a spettacoli fuori programma che possano contribuire a salvare l’ultimo reduce della grande storia cabarettistica milanese. Italiana.

Un appello a chi è stato reso grande da “Zelig” e che ha reso grande “Zelig”. Le chance di sopravvivere non sono molte, l’obiettivo è superare l’estate. Una prospettiva è cambiare sede, ma appare come un palliativo. L’ultimo sorriso pubblico si sta spegnendo, servono mani tese per salvare questa fetta di storia italiana.

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