Come no. La vedo nitidamente, questa Italia migliore, proprio in queste ore. Ha la bava alla bocca, se possibile persino più di prima.
Ha la rabbia belluina di Salvini, che bercia in video “vergogna questa finta ripartenza, riaprite tutto, fateci lavorare”, lui, che ancora sta aspettando il suo primo giorno di lavoro, e chissà che tanta operosità non derivi dalla voglia arretrata.
Ma non è il solo. Lui almeno è Salvini, tale e quale come l’avevamo lasciato, a prova di catarsi post-virus. E con lui la Meloni, prestigiosa economista che discetta saccente di Pil e di bond, grazie ai faticosi studi bocconiani che non ha fatto. Loro stanno nella parte, prima e dopo, a dimostrazione che non servono epidemie e terremoti per rendere il mondo più saggio e più mansueto, ma qualcos’altro, magari libri, libri, libri.
A stupire davvero sono piuttosto i loro compagni di viaggio. Questo Sangalli, presidente della Confcommercio, che con gli occhi fuori dalle orbite grida in faccia al governo tutta la sua indignazione, sgranando numeri funesti sugli incassi mancati dei negozi, ma come si fa a non riaprirli, proprio non riesce ad accettare un simile scandalo, senza spiegare magari perchè le mascherine chirurgiche ce le hanno vendute a due-tre euro e invece adesso per decreto si possono vendere a 50 centesimi.
E poi i vescovi, i vescovi. Persino i vescovi. Mai usati toni così acuti, nemmeno sulle questioni etiche più scabrose. Stavolta gridano ai quattro venti che questo Conte ha attentato alla libertà di culto, perchè ancora non ha permesso di celebrare le messe. Un comunicato Cei mai visto prima, con le debite proporzioni una manganellata che quasi quasi Salvini prova invidia.
Più tutti gli altri. Queste persone normali che via chat o in videocall urlano la loro frustrazione, basta, fateci uscire, fateci respirare.
Sono i nostri Trump e i nostri Johnson. Un mese fa piangevano come prefiche sui camion che portavano le bare, sui poveri vecchi spazzati via, su medici e infermieri eroici, periti nel compimento del proprio dovere. Tutto rimosso, tutto già dimenticato. Il problemone adesso è questo governo di rimbambiti, che va mandato a casa al più presto, perchè chiaramente sta distruggendo l’Italia.
Faccio outing: non sono filogovernativo, l’ultima volta che mi è capitato c’era Spadolini premier, anche se allora non lo chiamavano così. Ma a forza di ascoltare questa Italia con la bava, prima irridendo il virus, dopo sparando a pallettoni contro l’Europa infame, ora dimenticando morti e malati per riaprire tutto e subito, sì, lo confesso, mi viene quasi istintivo rivalutare il governo. Lo so che è grossa, ma non posso negarla. Diciamo che è una reazione automatica, credo velocemente guaribile, in poco tempo.
Non guarirà più, non guarirà mai, questo amaro che però provo davanti a una certa Italia aggressiva e incosciente, che per quindici giorni in più o in meno di prudenza è già sulle barricate, benedetta pure dall’acquasanta dei vescovi. E lo dico da cattolico, non da mangiapreti.
Un’Italia che evidentemente ha già dimenticato, o digerito, l’assedio della morte fuori dalle nostre mura. Che non resiste all’idea di fare la guerra, nemmeno se si rischia sulla salute pubblica. Che comunque tra affari e salute mette sempre prima gli affari. E per piacere non ricomincino subito a rinfacciare che noi fifoni nemmeno comprendiamo quale razza di disastro economico ci toccherà: lo sappiamo benissimo, quanto e più di loro, ma abbiamo il limite che “prima la salute dei nostri nonni e dei nostri figli”. Bisognerà che ci sopportino.
Niente sarà come prima, mi avevano garantito. Forse ci vedo male, ma guardandomi in giro a me sembra che non sia cambiato niente. E’ tutto come prima. Forse, un po’ più di rabbia e di odio, questo sì.
secondo me manca un pezzo: al di là del fatto che, effettivamente, con tanti articoli e approfondimenti dei giorni scorsi le persone si erano fatte il palato, e ora si trovano ancora a bocca asciutta (e dovrebbero sopportarlo, per un bene più grande, per quanto non sia facile), a creare sgomento (almeno in me ma vedo che non sono il solo) è l’assoluta mancanza di una strategia che non sia “ok, restiamo chiusi”. Non si parla di come potenziare i tamponi, del test sierologico (vale? non vale? servirà? si farà?), non si spiega perché i bambini devono stare a casa, non si allestisce nulla per permettere alle famiglie di tornare a lavorare se è questo che si vuole che facciano, etc. Se non si può avere una visione del “dopo” che lo si dica, se invece si ha e non la si mette in campo si passa per inadeguati (e sfido chiunque a essere adeguato in questa situazione, ma così sembra troppo)
Tengo a precisare che non ho alcun legame di parentela con il Sangalli citato nell’articolo. A scanso di equivoci mi è sempre stato sugli zebedei.
Alberto Sangalli
Come non ricordare il precedente, stupendo articolo dove lei Cristiano diceva: “…..Certo posso sbagliarmi io. E anzi spero, spero con tutte le forze, di sbagliarmi. Sono pronto a darmi del cretino, non vedo l’ora, davanti a un mondo davvero migliore. Nel caso, lo farò con incontenibile entusiasmo, sventolando il tricolore assieme a tutti gli altri. Per una volta, non a vanvera.”
Non abbiamo fatto in tempo neppure a dubitare di questo pessimismo, io non ho sentito neppure il profumo lontano di un mondo migliore.
Le automobili sono tornate a correre sotto casa, le moto a sfrecciare rumorose si sente aria di libertà in questi giorni primaverili, ma solo io piango i morti anche se sconosciuti?
Solo io non saprei dove andare con il cuore così pesante?
Solo io in clausura ho sentito Dio più vicino e più dentro di me di qualsiasi eucaristia?
Solo io sento ancora il movimento subdolo del virus come il borbottio di un vulcano?
Grazie Cristiano i suoi articoli mi fanno sentire sempre meno sola in questo mondo
Un caro saluto
Filomena
Cristiano ha centrato il problema, stamattina Alessandro Milan su Radio 24 (…), mi ha fatto imbestialire, tra l’altro, quando ha posto la questione se è giusto sacrificare la libertà dei bambini, per salvare la piccola percentuale di vecchi che muoiono… Meglio che non aggiungo altro. Sicuramente cambierò stazione, ovviamente.
Esattamente la stessa giungla. Quando i pappagallini variopinti smettono di cantare la loro gioia e le scimmie smettono di urlare la loro vitalità inesauribile, si sentono meglio le zampe delle belve sul fogliame calpestato, lo strisciare dei serpenti sui rami deserti. E’ la natura che non si ferma, nel suo laboratorio terrestre incappa in sciagurati ed infinitesimi esseri devastanti, usa sconsiderate quantità di lievito primordiale, inconsapevole distrugge, ingenuamente crea. Ma è nella sua più complessa creatura che non riesce ad esprimere un equilibrio circolare efficace, univoco e trasparente. E’ nella confusione emozionale e fallimentare delle nostre espressioni che miete le sue più innocenti vittime. E’ nell’uomo che si mescolano troppi risultati, troppe complessità, ed è in noi che non riesce ad infondere il principio prevalente dell’utilità. Manca il necessario ordine: la paura ignorante coniugata all’inconsapevolezza; una spavalda profusione di spavalderia inconsistente e addirittura imbarazzante. La tracotanza incosciente di chi trovandosi leone non saprebbe neppure se correre dietro ad una gazzella o cibarsi di mosche. La famelicità della conservazione, il tronetto di spade domestico con cui tutti vanno a dormire più soddisfatti. L’onnipotenza nichilista di chi crede di far da solo ciò che non fa neppure un popolo intero. La strafottenza becera di chi non conosce lo sguardo analitico ma continua a pavoneggiarsene come ne fosse l’unico baluardo. Di chi pronuncia invano i volgari proclami pungenti del linguaggio mediatico. E allora viene spontanea una riflessione sul coraggio, quello vero. Quello che ogni tanto nella confusione creativa della nostra ingenua natura riesce a germogliare pure senza troppa fatica. Quel coraggio che affronta esattamente la morte per qualcosa che ha un valore più grande, la vita. Quello è il coraggio che dobbiamo fare nostro, quello che si esprime in un ideale umano più universale. Ben distante da quello nominato nei corridoi dei palazzi di vanità da cui molti, troppi, ricordano al mondo di esistere. Riapriamo tutto lo dico anch’io, togliamo i lucchetti al nostro egoismo e misuriamo con una bilancia che funzioni bene la nostra maturità di fronte ad un problema serio. Un problema serio. Sentiamo vibrare questa parola nelle nostre mani più che il timore di rimanere a piedi.