L’ITALIA CHE CONDANNA LE MAESTRE

Non ce la faccio più: non riesco nemmeno più ad indignarmi. Non rimango incredulo, di fronte alle scellerate notizie sulla scuola italiana, che, ormai, ogni giorno versano sale sulle mie ferite. Non ci credo più, insomma.

Ho fatto il liceo classico, l’università, la specializzazione, l’ordinariato: in altre parole, ho cercato di fare il mio dovere. Tutta una vita nella scuola. Non ho mai chiesto nulla a nessuno, non ho mai sgomitato, ho sempre cercato di giocare pulito: adesso, di fronte a voi, confesso pubblicamente di gettare la spugna.

La scuola non è malata, non ha semplicemente bisogno di una cura robusta: la scuola è morta e quello che ne recita il ruolo è ormai solo un pallido lemure, un fantasma. Ho letto la notizia della maestra condannata perché ha redarguito in modo indiscriminato i propri studenti che avevano imbrattato di feci i bagni della scuola e, vi confesso, da principio non ci avevo creduto. Non alla condanna, intendo: al fatto in sé.

Che dei ragazzini delle elementari possano essere sventati, maleducati, rumorosi, lo capisco benissimo. Che raccolgano il proprio sterco e lo spalmino sui muri, invece, mi dura più fatica immaginarlo: che razza di gente è questa? Che famiglie hanno prodotto una simile diffusa barbarie? Gli stessi genitori che hanno denunciato le contumelie dell’insegnante, cosa hanno insegnato ai propri marmocchi? E’ possibile che in un Paese che si vorrebbe europeo degli alunni si possano comportare alla stregua di scimmie nella jungla?

Io non lo credevo: non volevo crederlo, anzi. Eppure, la cronaca è lì a testimoniarlo. Il fatto, poi, che si sanzioni la maestra, anziché i piccoli coprofili, è, in fondo, secondario: quello non mi stupisce più di tanto. La scuola italiana, ormai, pare abbia il fine, nemmeno tanto nascosto, di umiliare, vessare, squalificare socialmente e culturalmente, la classe docente: dirigenti e genitori, in nobile gara, si prodigano in questo senso.

Niente di strano, perciò, che, se una maestra apostrofa con qualche parola un po’ forte dei giovanissimi sporcaccioni, venga accusata e condannata: è lei l’anello debole della catena. E, qui da noi, è sempre il più debole che paga per tutti: gli arroganti, i prepotenti, non pagano mai.

Lo so: è desolante. E’ una cosa che fa venire voglia di trasferirsi in Nuova Zelanda e non tornare più: di starsene in esilio, rimpiangendo un’Italia che esiste solo nella nostra fantasia, e che, nella realtà, è una landa brada da Terzo Mondo. Anzi, nemmeno: perché nel Terzo Mondo, se fai una cosa del genere, ti rimeritano a vergate. E, a casa, ti danno il resto.

Solo l’Italia è l’Italia: un posto che addirittura attira il peggio dell’umanità, perché tutti, ormai, sanno che, da noi, il cattivo vince sempre e non la paga mai.

Così, se a Parma, la civilissima Parma, mica a Ulan Bator, una gang di microteppe decide di fare un bello scherzetto, spalmando feci sui muri della propria scuola, state sicuri che chi la pagherà sarà la maestra, che si è azzardata a dar loro dei suini. Perché questa è la scuola italiana: questa è la giustizia italiana. Insomma, questa è l’Italia.

Solo che io proprio non la reggo più questa situazione: mollo il colpo. Che la scuola si suicidi senza di me. D’ora in avanti, farò come il protagonista de “Il cappello a sonagli”: mi fingerò matto suonato. E mi godrò il diluvio: perché il diluvio, vedrete, di questo passo arriverà, prima o poi. Perlomeno, io so nuotare.

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