di TONY DAMASCELLI – Di lady Mary Wollstonecraft si segnala un ritratto alla National Gallery di Londra. L’opera, olio su tela, 76×64, fu firmata da John Opie e risale al 1797. La signora porge un’espressione mite, il viso è rivolto a sinistra, sull’ondame dei capelli indossa un nero cappello, l’abito è semplice, dal lieve gonfiore sul ventre si deduce che lady Mary fosse incinta.
Nessuno si era occupato di Lei, scrittrice e protofemminista, fino a quando non è stata svelata, uso appunto il verbo, sempre a Londra, nel sito del parco di Newington Green, una statua nella quale lady Mary appare totalmente ignuda. L’opera in argento, collocata su un parallelepipedo nero, è firmata dalla scultrice e pittrice inglese Maggi Hambling, commendatore dell’Impero Britannico.
Le femministe hanno reagito rabbiosamente, ricoprendo la nudità con una maglietta sulla quale hanno scritto “Donna”. Forse perché la postura e le sembianze di Mary Wollstonecraft non sono eroiche o leggiadre, anzi si potrebbe dire che il volto e il corpo non aderiscono all’immagine dipinta dal collega settecentesco Opie.
Ma il significato supera l’identikit, nulla è più vestito di un nudo, non è così la Venere Botticelliana? Non sono mie fantasticherie ma opinioni di critici d’arte che proprio nella nudità ritrovano un significato universale. Ma alle femministe radicali di Londra lady Mary andava bene come la disegnò Opie, uguale a milioni di altre donne, senza un segnale che ne esaltasse la missione, l’impegno e forse il sacrificio.
Nuda e argentea, oggi, manda in circolo un messaggio (ehm) ben più definito e forte. Il femminismo dovrebbe significare liberazione e poi libertà, quindi uguaglianza, di diritti ovviamente e non di questioni fisiche. Non esiste nulla di più libero di un corpo senza abiti. Quella maglietta che ha ricoperto i seni di lady Mary è paradossalmente il segno di una intolleranza che, al tempo della Wollstonecraft, apparteneva ai maschi.