Più che altro, due sensazioni, una peggiore dell’altra. E nessuna delle due nuova.
La prima è il disgusto davanti alla macelleria mediatica di bassa lega, con il solito martellamento morboso di ipotesi, rivelazioni, insinuazioni, anche e soprattutto legate alla vittima e al suo compagno, col solo scopo volgare non tanto di arrivare a una verità, ma di fare cassa e grancassa, monetizzando in ascolti e curiosità malata un dramma umano di proporzioni enormi (sì, perchè tale resta l’omicidio di una giovane donna).
E poi c’è la seconda sensazione, sinistra e inquietante: questa idea che ciascuno di noi, in qualunque luogo, città o provincia non fa differenza, possa uscire di casa per i più diversi motivi – anche una semplicissima passeggiata – ed essere ammazzato nel modo più crudele e più stupido.
Lo sappiamo dalla nascita: siamo precari ed esposti in qualunque momento, viviamo appesi a un filo in un gioco di rasoi. Ma morire come Sharon resta folle e ingiusto, non è concepibile e non è accettabile. Un balordo con velleità da rapper esce di sera con quattro coltelli e dopo aver tentato di far fuori due ragazzini decide di ripiegare su una povera signora nel fiore degli anni. Perchè? Nessuna spiegazione. Non c’è spiegazione. Sentiva il bisogno di uccidere, aveva voglia di uccidere. Un angelo della morte svitato e spietato. In mezzo a noi, libero di organizzarsi una serata come questa, nonostante fosse sotto inchiesta per le violenze su madre e sorella.
Qui Italia, anno 2024, senza Sharon.