LETTERA DA UN TIFOSO ATALANTINO: CARO LUCA, IO NON CI STO!

Lettera da un tifoso atalantino fortemente dissociato e indignato. Caro Luca Percassi, amministratore delegato dell’Atalanta nonché figlio del presidente Antonio, la sua concione ai duemila tifosi con il megafono dal campo di allenamento, prima della partita col Milan, stile occupazione del liceo, ci ha coperto tutti di ridicolo. Intendo dire noi bergamaschi, che, come dovrebbe ben sapere, possiamo avere tutti i difetti di questo mondo, ma non conosciamo il significato della parola “vittimismo”. Dal suo infervorato discorso, trasmesso addirittura alla Domenica Sportiva perché veramente insolito, estraiamo queste perle: «…abbiamo tutte le città, tutte le tifoserie, tutte le testate giornalistiche contro … dirigenti e giocatori sono stanchi di sentire certe cose».

Epperbacco, cosa è che mi sono perso? C’è davvero una congiura nazionale contro la Dea, qualcuno sta indicendo un referendum sotto traccia per soffocare il giocattolo nerazzurro? Lei sa qualcosa che non è di dominio pubblico? Oppure è una manovra maldestra per recuperare la piazza? Se è così, le garantisco che non funzionerà mai, almeno per la maggioranza dei supporter giudiziosi.

Io la conoscevo per la sua mitezza e per il suo basso profilo, qualche volta anche sinceramente pedante, neanche questo corrispondente all’animo orobico. Però lo sopportavamo tutti volentieri, si faceva finta di niente quando le cose andavano bene e la squadra era una macchina festosa del gol ammirata e rispettata da tutti, anche da autorevoli allenatori e critici stranieri. Il binomio di ferro tra il geniale Gasp e la concretezza orobica del papà Percassi è stato un modello vincente per anni e ci ha fatto sognare senza freni. Tolleravamo volentieri quella ossessione patetica di dire il “nostro primo obiettivo è la salvezza”, era diventata una barzelletta quasi spiritosa.

Poi, qualcosa si è rotto, oltre a tanti giocatori, nella seconda metà dello scorso campionato siamo andati in discesa libera. E abbiamo sofferto, certo, anche degli sfottò di qualcuno che si toglieva dei sassolini dalle scarpe, ma niente di che, direi tutto nella norma. Sono arrivati gli americani che si sono presi la maggioranza della società, abbastanza a sorpresa qui a Bergamo, la vicenda delle quote con i soci storici non è stata una passeggiata di salute, insomma un cambio di rotta che non ci si aspettava e una campagna acquisti così così: motivi di malumore ce ne sono stati per chi ha ancora negli occhi la semifinale Champions sfiorata col PSG, che segna due gol in recupero oltre il novantesimo. Ma il vero sportivo e tifoso è vicino alla squadra proprio quando ne ha bisogno e adesso stiamo in silenzio per vedere cosa succede nel calcio giocato.

Prendersela col mondo, però, caro Luca, è un atteggiamento che non ci appartiene. Noi possiamo masticare amaro, ma prima di tutto ci rimbocchiamo le maniche e dimostriamo con i fatti le nostre ragioni. Da sempre e per sempre. Fare il “piangina” è qualcosa che ci ripugna profondamente e non mi do pace del perché si è imbarcato in questa uscita maldestra. Ci vogliono anni per costruirsi una reputazione e un solo giorno per distruggerla. Ecco, lei ce l’ha fatta, complimenti. Ha dato un solido motivo per criticarci davvero e farci passare per quelli che non siamo. Lo voglio dire chiaro e forte da bergamasco atalantino: io non ci sto. Mi auguro che in qualche modo lei possa rettificare le sue parole, ma temo che sia troppo tardi. Tocca solo al campo e alla “maglia sudata sempre” (questo sì un motto che ci rappresenta) dei nostri giocatori riparare il danno e riportare le cose al loro posto. Ci deve pensare, come al solito, la banda Gasp. Se ce la fa.

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