LETTERA ALLA SANTANCHE’ PER IL SUO CENTROTAVOLA BURINO

Così non si fa, Madama Garnero: eppure, per voi Piemontesi, financo della remota Provincia Granda, l’understatement dovrebbe essere materia che poppate col latte materno. Dov’è finito il leggendario aplomb che ha reso celebri i “bogia nen”? Andiamo, comportarsi come una qualunque milanese, come la mogliera di un commendator Brambilla, reso ricco dai bigatti, non dovrebbe far parte del suo patrimonio genetico.

D’accordo, quel suo presentarsi al gran mondo col cognome dell’ex coniuge, ritenuto, evidentemente, più glamour del proprio, avrebbe dovuto risvegliare in noi qualche sospetto: tuttavia, adesso, mi pare di poter dire, nonostante la simpatia che provo nei suoi riguardi, che abbia un filino esagerato.

Perché, vede, Madama Garnero, uno al centro del proprio tavolo, a Natale, può mettere quello che gli pare, ci mancherebbe: elefanti di porcellana, il plastico dell’autogrill Villoresi, la foto del bisnonno zuavo pontificio. Lei ha deciso di trasformare la tavola natalizia in San Giovanni Armeno e vabbè: davvero sono solo affari suoi.

Però, nel momento in cui esibisce le sue vantardigie sui social, ahinoi, diventano anche affari nostri. Appunto a questo servono i social: ad esibire ed esibirsi. Perciò, se mette in mostra il suo privato, dovrebbe accettare, ipso facto, che quel privato cessi di essere privato e diventi pubblico: mi segue? Ne deriva che il suo, diciamo così, esuberante centro tavola possa diventare un caso, una leggenda popolare, un argomento di dibattito tra opinionisti che non hanno di meglio da fare.

Il che, credo di poter dire, era esattamente lo scopo che si era prefissata, pubblicando il garrulo post. Dunque, non si lamenti: voleva che si parlasse di lei e se ne parla: siccome non mi risulta che abbia mai scritto un saggio immortale su Esenin, che abbia vinto i mondiali di canottaggio o che abbia mai dimostrato qualche altro talento straordinario, si parla del suo cattivo gusto. Che ci posso fare? D’altronde, già nel 1890, un tal Oscar Fingal Wilde postulava: there is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about.

Mi lasci aggiungere che, se la fotografia del titanico centro tavola ci aveva instillato qualche dubbio circa quell’understatement piemontese di cui si diceva poco sopra, il fervorino terminale sui poveri che non vanno dimenticati ci ha dato la matematica certezza della sua anomalia antropologica, Madama Garnero: lei non può essere cuneese. Deve avere qualche antenato giunto a Cuneo da regioni più storicamente vocate alla millanteria: un trasteverino, magari, oppure, chessò, un romagnolo, di quelli che, con voce un po’ forte, a Riccione definiscono “sboroni”.

Insomma, non me la conta giusta. E, siccome il veleno sta nella coda, concludo dicendo che c’è anche di peggio, in questa ridicola vicenda, rispetto alla sua esibizione di fasto e di pompa, ascendente kitsch e sono i partigiani delle due fazioni: quelli che s’indignano di fronte a uno spettacolo che, al massimo, dovrebbe suscitare una risata, e quelli che gabellano per invidiosi i detrattori del centro tavola. I primi sono troppo seriosi. I secondi sono troppo servili.

Io mi pongo nel mezzo: trovo decisamente eccessiva la faraonica rappresentazione delle proprie fortune economiche da parte della Madama e, non avendo mai invidiato nessuno, tranne Von Karajan, non credo di poter essere accusato di parlare per invidia. Parlo, anzi scrivo, perché i parvenu mi irritano, come, del pari, mi irritano i censori dei parvenu, con villa a Capalbio. Forse, forse, pensandoci bene, m’irrita l’umanità. Pubblicherò una foto in cui faccio il centro tavola di me stesso: e, con questo, chiuderemo il cerchio.

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