L’ETICHETTA TERRORISTICA SUI VINI, MA FACCIANO IL PIACERE

L’Europa unita è una bella idea, più un’idea che altro, in effetti, e da sempre fa infuriare soprattutto gli stati membri, per un motivo o per l’altro.

Se poi si parla di cibo, l’Italia è in prima linea, per presunzione e per vittimismo, non necessariamente con le stesse percentuali, anzi. In Italia si mangia bene, di gran lunga meglio che altrove in Europa, è un fatto ed è un fatto sottoscritto da chiunque venga in Italia in vacanza o per qualsiasi altra ragione, finlandesi inclusi, e ogni riferimento alla famiglia in fuga da Siracusa perché insoddisfatta dei modi e dei tempi dell’istruzione italiana è puramente voluto.

Ogni due per tre, o viceversa, nemmeno la Crusca sa bene, l’Unione Europea emette sentenze che riguardano la tutela della salute, sentenze che riguardano l’alimentazione, le bevande, i cibi e gli ingredienti dei medesimi. L’Italia è spesso e malvolentieri parte in causa, più o meno direttamente, proprio perché da noi mangiare è un’arte e per una volta vada a quel Paese, qualunque, il contraddittorio.

L’ultima dell’Unione Europea ha a che fare con le etichette dei vini, che ci riguardano eccome, sia pure in modo indiretto per ora. L’Irlanda chiede di poter scrivere sulle etichette ammonimenti affini a quelli che da anni campeggiano sui pacchetti di sigarette: “nuoce gravemente alla salute”, “”il consumo di alcol provoca malattie del fegato”, “alcol e tumori mortali sono direttamente collegati”, ad esempio, e l’Europa acconsente o comunque non dice no.

M’importa poco o nulla del potenziale danno commerciale che già in modo piagnucoloso e vittimistico accampano i produttori, perché poi in fondo di gente che beve se ne troverà sempre, per piacere o per dispiacere, e assicuro che ci sono modi anche peggiori per mangiarsi il fegato. M’Importa piuttosto del principio e della forma, che in questo caso è sostanza, m’importa che la nostra meravigliosa comunità europea (che in potenza meravigliosa è davvero) abbia sempre a cuore più l’interdizione che l’educazione, preferisce intimorire piuttosto che spiegare.

L’Italia, che in ambito enogastonomico a tutti gli effetti è un’eccellenza, per quanto il termine sia ormai insopportabile, un po’ se la prende e tutti i torti proprio non li ha. Una volta è il formaggio, un’altra l’olio extra vergine di oliva, una volta è la pizza, poi il salame e i prosciutti e ora il vino, quando è troppo è troppo.

Perché non una bella etichetta sul cioccolato belga invece?

Per dire e ribadire che il problema non è il cioccolato, il vino, il formaggio, il burro, l’olio e nemmeno le caramelle zuccherose, il problema, come sempre, è l’uso e il consumo, la misura insomma, il come e soprattutto il quanto.

Perché è importante dirlo e ridirlo: il vino, la pizza, l’olio, il salame, il formaggio non uccidono, non hanno mai ucciso nessuno. A uccidere sono l’uso e la dismisura, che ognuno di noi pratica consapevolmente in quanto essere umano debole, mortale, mediamente non virtuoso.

Se proprio crede, l’Unione Europea provi a educare e a rendere meno viziosi noi, non attribuisca immotivate colpe a vini e formaggi, certo più gioie che dolori.

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