L’ERETICO PAROLO

di LUCA SERAFINI – Parola di Parolo. Va be’, lo so che non è un gran gioco di parole, ma si adatta alla perfezione a quanto ascoltato nel pre e nel post partita di Champions tra Bayern Monaco e Lazio, una delle troppe partite che hanno falcidiato le italiane nelle coppe europee, lasciandoci ora in rappresentanza soltanto la Roma.

Dunque Marco Parolo, classe 1985 da 7 anni in biancoceleste, nella partita in Germania ha segnato un gol, sia pure del tutto ininfluente rispetto a risultato e qualificazione. Dallo studio di SkySport nel dopo-partita gli fanno una battuta: “Abbiamo portato fortuna almeno a te, se non alla tua squadra, facendoti parlare anche prima della sfida”. E Marco, con una prontezza e una sobrietà sorprendenti, risponde di getto: “Dovrebbe essere sempre così, dovremmo parlare di più con i media. Io sono un appassionato di basket NBA e laggiù i giocatori li intervistano a inizio partita, alla fine di ogni quarto, al termine della partita. Credo che sia giusto così, fa parte dello spettacolo”.

Bello sentirlo dire da un calciatore italiano. Al di là delle facili retoriche, non è frequente trovarne disponibili alle chiacchierate, soprattutto in piena trance agonistica. Al di là di retorica e luoghi comuni, se è vero che le interviste – salvo rare eccezioni, per lo più concentrate tra gli atleti che hanno cessato l’attività da tempo – offrono pochi spunti di riflessione, quelle a ridosso dell’evento vanno spesso controtendenza e arricchiscono eccome la cornice. Bisogna avere qualcosa di sensato da dire (magari anche qualche una buona domanda da fare, per carità), però è un fatto che la voce ansimante dei protagonisti sudati qualcosa allo spettatore certamente lo regala. Non è semplice a caldo essere lucidi e obiettivi (gli allenatori sono i più provati al 90′ e finiscono con maggior frequenza, rispetto ai giocatori, nella spirale dei battibecchi o delle polemiche).

Insomma il concetto è che il microfono e casomai la telecamera sono amici dello sport, dello spettacolo. Danno un senso di partecipazione più diretta, fanno respirare l’atmosfera del campo, danno la percezione dello sforzo appena compiuto. Il rispetto reciproco tra giornalista e interlocutore è il requisito fondamentale, ma teniamo presente che spesso a formulare le domande – dallo studio o dal campo – sono proprio ex campioni o ex allenatori, non solo nel calcio. Se si accetta il confronto, il risultato è gratificante per chi ascolta e scrivo questo pezzo davvero da spettatore prima che da giornalista. Non sopporto che soltanto nel calcio – ogni tanto – un tesserato dica al giornalista: “Lei non ha mai giocato”. Non ho mai visto nessun attore replicare al critico: “Lei non ha mai recitato” o un musicista dire: “Lei non ha mai suonato niente se non il campanello di casa”. Ribadisco: servono stima e rispetto reciproco.

Del resto, se molti intraprendono la carriera del commentatore o dell’opinionista una volta conclusa quella agonistica, un allenamento preventivo non può fare che bene. Ci aiuterebbe a scoprire che qualche ex giocatore o allenatore è più bravo persino dei giornalisti, anche se tra i giornalisti ce ne sono molti che giocano a pallone meglio di alcuni professionisti. Ma questo voi non lo saprete mai… E’ una di quelle poche cose che è meglio tacere.

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