LE SCUSE IRRICEVIBILI DEL GIOVANE BENETTON

Silenzio, parla Alessandro Benetton. Anzi, scrive. L’ occasione è il lancio del suo libro autobiografia “La traiettoria”, in cui racconta la sua vita, tenendo a precisare in un’intervista quanti “no” abbia dovuto dire e quanto è stato difficile portare il suo ingombrante cognome.

Il fatto che non sia stato il successore designato dall’inizio dell’impero dei maglioncini colorati, non gli ha impedito comunque di diventare a soli ventiquattro anni presidente Di Benetton Formula – anni ruggenti del giovane Schumacher -, non gli ha impedito certo a ventotto anni di lanciare Invest 21, operatore italiano di private equity da 1.7 miliardi di euro, di conquistare la poltrona da presidente di Benetton dal 2012 al 2014, per poi lasciare l’azienda di famiglia nel 2016 per divergenza sui progetti futuri. Gira che ti rigira, però, non riesce ad allontanarsi troppo dal cerchio familiare, tanto che a gennaio di quest’anno diventa presidente di Edizioni Holding, nel momento in cui si trasforma in una società per azioni.

Più leggo dettagli, più trovo una somiglianza con un certo Luca Cordero, nato anche lui con la camicia già stirata e in doppio petto. Posizioni prestigiose, giovanissimo responsabile corse Ferrari e una lunga catena di presidenze glamour. Anche lui ha dovuto soffrire e fare la gavetta per farsi largo? Anche lui “era ricco e non aveva soldi in tasca, a volte  nella cartella non c’era la merendina come per i miei compagni?”. Il Benetton junior ci spiega che al liceo è stato bocciato e che era un adolescente ribelle, passava le ore a truccare i motorini e frequentava addirittura le sale da biliardo. Che ragazzaccio, mi vengono i lucciconi a pensare ai suoi tormenti.

Fin qui tutto bene, niente di nuovo sotto il sole di queste biografie patinate che non tolgono e non aggiungono. Poi, m’imbatto nella frase che non avrei mai voluto leggere: “Dopo il crollo del ponte Morandi avremmo dovuto subito chiedere scusa, straparlare o tacere è sbagliato in uguale misura”.

No, questo no, mio caro Alessandro. Non doveva dirlo. O parlava nel 2018, quando 43 poveri cristiani persero la vita, o stava zitto per sempre. Che lei ne parli adesso, in occasione del debutto del suo nuovo libro, oltre che di smaccata e mossa pubblicitaria, puzza tanto di recupero di una coscienza retroattiva che tenta di redimersi, forse a nome di un intera famiglia. Ma la cosa non funziona, la gente non è stupida, tutti hanno capito quali e di chi sono le responsabilità della tragedia, ma, soprattutto, ha definitivamente giudicato i silenzi inaccettabili e la totale mancanza di vicinanza alle persone colpite da parte degli azionisti della società. Non si cancellano gravi mancanze con tardive-fuori-tempo-massimo considerazioni caritatevoli che non convincono nessuno. Questa è e resta solo un’altra brutta puntata di una serie che sembra non finire mai. Una puntata peggio dell’altra.

 

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