QUELLE MAMMINE CHE SI TRUCCANO PER PARTORIRE A MEZZO SOCIAL

Va bene che siamo nel 2023, che attorno a noi gironzolano decine e decine di membri della generazione Z, ma credo si stia un tantino esagerando nell’oltrepassare il limite.

L’ultima brillante e geniale moda che la società ha partorito (un termine che oggi si sposa particolarmente con l’argomento trattato) è il Birthing makeup, ovvero truccarsi in sala parto. Una nuova tendenza – figlia dell’epopea di Tik Tok – che vede delle vere e proprie makeup artist truccare le imminenti neo-mamme prima che esse vengano portate in sala parto. Un trend che ha un solo ed unico scopo: apparire perfette sui social, sia nel momento del travaglio che del parto stesso. Perché oggi persino partorire implica l’utilizzo del cellulare, con dirette Instagram e foto impeccabili da mostrare al pubblico.

Già immagino quando verrà chiesto al marito di tagliare il cordone ombelicale. Prima gli scatterà qualche foto; poi, nelle vesti di Piero Angela, girerà un video spiegando cos’è e dove generalmente si trova. E, soltanto dopo, procederà col taglio, sempre che non sia svenuto prima.

Eppure io sono cresciuto guardando “Senti chi parla” in televisione, dove la bravissima Kirstie Alley – immersa nelle sue dolorose doglie – urlava all’ostetrica che la invitava a respirare con una voce indemoniata. A tutto pensava, tranne che a truccarsi. Devo supporre che nemmeno mia madre, scodellandomi, avesse pensato di darsi un tono.

Non è ancora chiaro se la straordinaria ed ingegnosa idea del Birthing makeup sia prevista anche in caso di cesareo. Ma per i follower questo e altro: non mi stupirebbe vedere delle signore prima truccate da un troupe di professionisti del settore e subito dopo anestetizzate da una troupe d’infermieri specializzati.

Cosa ci insegna questa ulteriore testimonianza di superficialità umana? Sempre lo stesso: la società è sempre più succube dell’apparenza. Del fatuo. Del vuoto.

Potremmo provare a dire che il parto per una donna è un momento intimo, profondo, specie per chi ha la fortuna di viverlo in maniera naturale. Ma risulterebbe inutile. Questa ossessione di dover condividere tutto su un social spazza via qualunque rigurgito di buonsenso.

Ossessione che va a braccetto con la smania di apparire perfetti, sempre in ordine, quando non esiste miglior perfezione di una donna che ha appena dato alla luce un bambino. Con le sue occhiaie, il sudore sulla fronte, la felicità nei suoi occhi nonostante il dolore provato. Quella è perfezione, mentre è terrificante – questa sì – l’idea di strumentalizzare qualcuno che non è ancora nato, per visibilità, per stare al centro dell’attenzione.

Come siamo arrivati a trasformare un parto in uno spettacolo d’intrattenimento? Forse la risposta sta nel fatto che viviamo in un mondo dove i riflettori hanno rubato il posto ai sentimenti, e dove nessuno ha ancora compreso che i momenti vanno vissuti, non fotografati. Perché le emozioni non hanno e non avranno mai spunte blu.

Un pensiero su “QUELLE MAMMINE CHE SI TRUCCANO PER PARTORIRE A MEZZO SOCIAL

  1. Eleonora Ballista dice:

    Gentile Andrea, tutto giusto.
    Mi permetta però di darle, da donna che ha partorito due volte senza cesareo e, per scelta, senza anestesia, un paio di punti di vista differenti.
    Non sempre truccarsi, in certi frangenti medici, ha lo scopo di apparire. Per esempio, per me truccarmi di tutto punto prima di una visita ginecologica ha lo scopo di proteggermi. Mi spiego meglio: mi sembra, apparendo in ordine, di essere “meno nuda”. Non pretendo che lei capisca essendo un uomo: quel tipo di visita (che pure ha la sua versione maschile) è per le donne una routine a cui, in teoria, dovremmo abituarci; ma non ci riusciamo mai, nonostante ci tocchi dai vent’anni in poi, fino alla fine dell’esistenza.
    Vorrei anche, per un momento, ridimensionare le urla demoniache della Alley in Senti chi parla: il cinema è sempre spettacolare nel riprodurre il momento del parto. Ma mi faccia dire, non è proprio così: sì, certo, si urla ma, badi, non si tratta di un urlo straziante.
    E’ un grido di sforzo; paradossalmente, assomiglia di più all’urlo di un body builder che solleva un peso, tanto per dare, anche qui, una chiave di lettura comprensibile dall’universo maschile.
    Per concludere: quando ho partorito io, in sala parto, c’erano solo “addetti ai lavori” e mio marito che era “parte in causa”.
    Niente cellulari (esistevano già ma non erano smart) e, soprattutto, non c’erano i social.
    Eppure, ugualmente, io sono entrata con una bella camicia da notte (a fiorellini rosa) comprata per l’occasione, ero pettinata e avevo le mani curate perché sapevo bene che “dopo” di tempo per me ne avrei avuto molto poco, diciamo pure niente.
    E avevo ragione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *