“LE BRAVE PERSONE FANNO CARRIERA”: MA SEVERGNINI VIVE SU MARTE?

In un videocommento dei giorni scorsi sul sito del “Corriere”, Beppe Severgnini ha dato la buona novella: le persone perbene fanno carriera. Non è vero, dice Severgnini, che per “farsi strada nella vita” occorre essere egoisti. Sarebbe, questo, un banale luogo comune: svegliatevi, gente, i “buoni” vincono.

A dimostrazione di questa scoperta davvero sorprendente, Severgnini cita il successo elettorale di Damiano Tommasi (nella foto), che nella corsa alla carica di sindaco della città di Verona andrà al ballottaggio da favorito, essendo stato il più votato al primo turno.

Severgnini non ha sbagliato esempio: sotto tutti gli aspetti, Tommasi è quel che si dice una “brava persona”. Calciatore professionista dal comportamento sportivo esemplare, poi presidente del sindacato di categoria, cattolico vero, padre di famiglia (di famigliona, anzi: ha sei figli), attivo nel campo sociale: insomma, un uomo che merita rispetto e ammirazione. Fa piacere che, a Verona, città spesso associata alle turbolenze create da frange di estrema destra che, pur minoranza, sono comunque una presenza ostinata nel tessuto cittadino, molti elettori se ne siano accorti e vorrebbero di conseguenza che una persona così, impegnata sui diversi fronti della vita – professionale, familiare e sociale – con un coerente atteggiamento limpido e altruista, diventi il sindaco che possa rappresentarli tutti.

Tanto – e non è poco – basta a Severgnini per dichiarare che i “buoni” hanno vinto la battaglia, che con l’altruismo “si fa carriera” e che, dopo secoli, anzi millenni, di battaglia senza esclusione di colpi, finalmente il “perbene” vince sul “permale”.

Ha ragione?

Purtroppo no.

Quella che Tommasi, e altra gente come lui, ci regala, anche più spesso di quanto pensiamo, è solo una speranza e la speranza non rappresenta la trasformazione del mondo, quanto l’inizio di un possibile cambiamento. Il più delle volte, la fiammella che essa accende fluttua al vento e si spegne; in qualche caso si propaga e diffonde luce e calore. Il (buon) esempio dei singoli ha valore, è prezioso, ma non basta ad annunciare il trionfo del bene sul male, della generosità sul calcolo, dell’onestà sulla scorrettezza. Non è vero, insomma, che i “buoni fanno carriera”: diciamo che qualche volta ci riescono e, nel riuscirci, danno fiducia agli altri che resistono alla tentazione delle scorciatoie e delle gomitate. Ma purtroppo restano eccezioni, tant’è vero che Severgnini si sente in dovere di dedicargli un articolo.

Annunciare la vittoria delle persone “buone” su quelle “cattive” dà credito al sogno che la società possa liberarsi dei disonesti, dei violenti, dei cafoni e dei millantatori come fossero una zavorra, un peso morto. Non è proprio così: la dicotomia bene e male funziona benone come parametro morale ma, applicata alle persone, non risulta altrettanto efficace.

Tanti ricorderanno il film “Il sorpasso” di Dino Risi, nel quale Vittorio Gassman, nei panni del cialtrone, furbastro e chiacchierone Bruno Cortona, trascina alla tragedia Jean-Louis Trintignant, il buono, il timido, lo scrupoloso studente Roberto Mariani. La forza dei film non sta nell’offrire la morale opposta a quella di Severgnini (i bricconi prevalgono sui galantuomini), ma nell’osservare come i due personaggi, pur archetipici, durante il viaggio sulla celebre Lancia Aurelia finiscano per guardarsi negli occhi e nel riconoscersi a vicenda. Qualcosa di “perbene” c’è in Cortona, che alla fine borbottando ammette di essere un “poco di buono”, qualcosa di “permale” vive in Mariani, affascinato dalla leggerezza e dall’irresponsabilità dell’altro. La tragedia alla quale i due vanno incontro è infine quasi un patto, un tuffo nella natura stessa dell’umano che riconosce il bene, qualche volta aspira a esso con forza commovente, ma inevitabilmente finisce per schiantarsi contro i suoi limiti.

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