di TONY DAMASCELLI – L’ultimo Conte, nel senso di Antonio, è uguale al primo Conte, sempre nel senso di Antonio. Cocciuto, tenace, capriccioso. Fondamentalmente, eternamente insoddisfatto. Non so perchè, ma mi viene in mente l’aforisma di Dumas: “Tra i cattivi e gli ignoranti, preferisco i primi, perché ogni tanto si riposano”. Conte magari non è ignorante, ma sicuramente è di quelli che non si riposano mai.
Conte, nel senso di Antonio, è un lavoratore instancabile, sempre sul pezzo, attento, studioso, perfezionista, maniaco dei dettagli, incapace di accontentarsi del minimo sindacale. Si potrebbe presumere che sia lucido e sveglio anche mentre s’addormenta profondamente. Non accetta rimproveri, li ingoia mugugnando, mai ammettendo errori ed omissioni o, secondo usi e costumi, limitandosi alla frase di repertorio “mi assumo tutte le responsabilità”, mai spiegando, illustrando, lui, come i suoi colleghi, quali siano le stesse, di tattica, di scelta tecnica, di preparazione atletica, di psicologia, di mercato.
La sua presunzione si spinge all’assurdo e appartiene a una corrente filosofica (ehm) di allenatori secondo i quali il calcio degli anni Settanta o Ottanta non era calcio che, invece, è diventato tale nel periodo successivo.
Personalmente l’ho sentito sostenere che l’azione del gol di Tardelli al mondiale di Spagna era l’atto finale di una azione lenta, perché allora si andava a cinque all’ora e non si aveva la stessa aggressività agonistica, detta tensione, di oggi. Provai a ribattere, ricordandogli Stiles e Udovicich, Bacher e Rino Ferrario, Tebaldo Bigliardi e, per venire a quel calcio smorto, Tardelli contro Rivera, Goicoechea contro Maradona, Vinnie Jones o Roy Keane contro tutti, tralasciando altri combattimenti rispetto ai quali i contrasti e/o contatti di oggi sono sceneggiate meroliane. Niente da fare, il calcio vero non è nemmeno quello contemporaneo, il calcio vero, esclusivo, assoluto è il suo.
Non sopporta Capello, non ama Lippi, non considera Mourinho, gli altri sono altri e basta, eventualmente Sacchi con il quale provò a crescere in nazionale. Dopo aver vinto con la Juventus e il Chelsea, soltanto sul territorio interno, ha evitato di accettare la proposta della Roma e di Francesco Totti temendo di non poter giocare per lo scudetto, ha convinto i cinesi dell’Inter a garantirgli gli abbondanti milioni che sappiamo. Dopo aver deriso gli spiccioli di Agnelli sta nuotando nel forziere di Suning, ma non gli basta la piscina, vuole il mare, anzi l’oceano. Gli hanno comprato gli oh bej oh bej, pagati però come i gioielli della corona, ma uno di questi, Eriksen, è una sirenetta danese che per il salentino è come uno spaventapasseri.
Fatta le premessa tecnica, vengo al carattere del Nostro, esploso nel dopo partita di Champions, ma già manifestatosi in altri situazioni, contro la stampa, contro i dirigenti, contro gli arbitri, tenendosi ben stretto i tifosi, che sa eccitare come un coribante orgiastico, e lo spogliatoio, che lo adora fino a quando non conosce il logorio della vita moderna e si ritrova con il carciofo amaro dove sappiamo.
Un calciatore della Juventus, uno vero, di grande esperienza, mi confessò durante le terza stagione contiana: “Non ce la faccio più, lui è bravo ma ossessivo, opprimente, non posso prendere un appuntamento con il dentista perché lui cambia gli orari di allenamento a sorpresa”.
Sarà un dettaglio, ma è anche il fumogeno che nasconde la carica maniacale che tiene in vita l’allenatore, droga il gruppo, ma finisce per stordirlo. Se poi devo occuparmi dell’educazione e del rispetto che lo stesso ha nei confronti di chi la pensi diversamente da lui medesimo, allora vi rimando a Dumas padre.