di PAOLO CARUSO (agronomo) – Il grano da 10.000 anni a questa parte è stato il grande protagonista dell’alimentazione dei popoli mediterranei (e non solo). In Italia, soprattutto negli ultimi anni, è in corso un acceso dibattito sui suoi metodi di coltivazione, di trasformazione e sulla sua provenienza.
Perfino “Report” su Rai3, ormai a cadenza settimanale, dedica reportage, dai contenuti più o meno condivisibili, all’annosa vicenda del grano importato e ai rischi che corre la nostra salute.
Segno che questo tema sta interessando larghi strati di consumatori, sempre più desiderosi di informarsi e capire da dove arriva e come viene prodotto il cibo che arriva a tavola.
Ma diciamoci la verità, quanti di noi hanno mai pensato di chiedere con quale farina o semola venga fatto il pane che compriamo nel panificio sotto casa o da dove essa provenga, o quali additivi vengono utilizzati per la sua produzione?
Una domanda dall’importanza a prima vista marginale ma che a Valeria Messina, avvocatessa catanese, è costata un radicale cambio di vita personale e professionale.
Valeria oltre a essere un legale dalla soddisfacente vita professionale (era dirigente di un’importante società), è prima di ogni cosa una mamma, da sempre appassionata di temi che riguardano l’alimentazione, desiderosa di restituire alle proprie figlie il piacere di mangiare sano.
Conoscere provenienza e metodologie di produzione delle materie prime rappresenta per lei una necessità, e con queste premesse cercava nei panifici un pane sano, fatto con grano locale, lievitato naturalmente e privo di additivi chimici. Purtroppo la ricerca rimase irrisolta per molto tempo, così per sopperire a questo vuoto decise di cominciare a cercare le farine nei mercatini. E si cimentava di notte nell’arte della panificazione.
Per sua stessa ammissione i primi risultati non furono confortanti, ma con buona volontà e passione, dopo poco tempo riuscì ad ottenere un prodotto che cominciò a riscontrare il favore di parenti e amici, che la incoraggiarono, al punto che Valeria si decise a fare il grande passo: aprire un panificio a Catania, dove venissero utilizzati esclusivamente cereali siciliani antichi, moliti a pietra e coltivati senza l’ausilio della chimica di sintesi. Farine e semole che vengono acquistate da molini a pietra siciliani, all’insegna della riduzione delle distanze e delle filiere sostenibili.
Ma oltre alla materia prima è fondamentale per il nostro avvocato lasciare al pane il suo spazio e tempo, lasciandolo fermentare e lievitare esclusivamente con lievito madre, per trarre da esso tutta l’energia, la qualità e i sapori ancestrali.
Il salto nel buio in realtà si è rivelato una scommessa vinta: oggi il forno “Biancuccia” (il nome scelto da Valeria per il suo locale) è una realtà imprenditoriale ben avviata, molto apprezzata non solo nella provincia di Catania ma in tutto il territorio nazionale. Questa realtà attualmente impiega 8 persone, compresi 2 ragazzi extracomunitari, perfettamente integrati e protagonisti di uno scambio cultural-gastronomico che arricchisce e migliora il pane e i biscotti che vengono prodotti.
Valeria Messina è la dimostrazione vivente di come si possa fare impresa partendo da una necessità e da una passione, coniugando i principi della buona e sana alimentazione, dell’etica del cibo, del lavoro e della sostenibilità sociale, ambientale ed economica.
Ma niente le dà più soddisfazione della gratitudine manifestata dai suoi clienti più anziani, che riconoscono nel suo pane sapori e odori che pensavano ormai dimenticati.