La discussione sulla vicenda è ancora aperta, tra l’interessato che dice di essere stato frainteso e il Papa che invece dà l’impressione, con la durezza della sua decisione, di non essersi affatto frainteso. Il caso è proprio un caso e dà la stura a molte considerazioni.
Intanto ritorna in primo piano il problema di come Papa Bergoglio governa la Chiesa e soprattutto la curia romana, la santa curia romana, così centrale nella vita della Chiesa e così affezionata alla sua centralità. È noto come Papa Bergoglio abbia un’idea di Chiesa, diciamo così, più decentrata, in termini ecclesiali: più sinodale. La curia non dovrebbe essere il centro che decide, ma il centro al servizio delle chiese locali: ancora una volta le periferie. Ma è difficile scardinare abitudini secolari, radicatissime al centro, ma radicate anche, spesso, nelle stesse periferie. Per riuscire a ottenere qualcosa Papa Francesco fa verso la curia quello che la curia non deve fare verso le periferie: concentra il potere, decide molto e decide spesso da solo, anche verso corporazioni interne alla curia, come la segreteria di Stato, abituate a fare tutto senza controlli. Con qualche rischio che è venuto fuori anche con il caso Becciu.
Questi, messo da parte per motivi che il Papa ritiene gravi, non se la prende con un tribunale che lo avrebbe “condannato”, ma se la prende direttamente con il Papa. Ovvio che, nel caso la faccenda venga ridiscussa, verrebbe messo in discussione il Papa stesso. Dunque: il metodo Bergoglio è un metodo efficace ma rischioso.
La cosa poi si complica ulteriormente per il motivo. Trattasi di soldi. Ci risiamo. Tra le grandi crisi della Chiesa ci sono spesso crisi legate all’uso del denaro, “lo sterco di Satana”, come lo chiamava Papini. È sempre stato così, da Giuda in poi. Giuda era il cassiere del gruppo dei dodici, non immacolato, come si sa: “siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro”, racconta l’evangelista Giovanni (12, 6). E poi si sa anche come è finito, il povero Giuda.
Strano. La “cosa” più alta, il Vangelo, si fa rovinare dalla cosa più bassa, i soldi. Ma, in fondo, tutto è comprensibile. Il rischio dell’inquinamento viene proprio dalla enorme distanza tra Vangelo, da una parte, e i soldi, dall’altra. Più due realtà sono diverse, più rischiano miscugli impropri, quando si avvicinano. In qualche modo, l’inquinamento della purezza evangelica viene proprio dal fatto che il Vangelo ha la “pretesa” di dare senso a tutto, al mondo, alla storia, al corpo, ai soldi… tutto. Ma, toccando tutto, viene toccato da tutto.
Così, anche il caso Becciu fa apparire come sempre più necessario il prezioso – e raro – esercizio della saggezza. Perché qua e là si sono sentite di nuovo le voci dei profeti che predicano la povertà assoluta della Chiesa. Sono i cattolici che sono più cattolici del papa – e la cosa si può anche capire – ma sono più cattolici di Gesù – e questo lo si capisce con qualche difficoltà, perché Gesù, i soldi, li usava. Li aveva affidati al cassiere sbagliato, ma li usava.
La cosa più saggia, allora, la strada da percorrere con coraggio, appare quella della trasparenza. Molti preti usano i soldi della Chiesa come se fossero monetine in fondo alle loro tasche. Poi fanno cappellate. Poi arriva qualcuno che chiede qualche spiegazione. E allora non basta dire che si è fatto tutto “a fin di bene”. Perché il bene fatto male, diceva mio nonno, diventa male per chi lo subisce e per chi lo compie. Anche per preti. Figurarsi per i cardinali.