L’ARBITRO FRIGNONE NON PUO’ ESSERE UN MITO

Pensavo che Aia fosse l’acronimo dell’Associazione arbitri italiani. Mi sbagliavo. E non è nemmeno una città olandese tradotta nella nostra lingua. O l’area della trebbiatura dinanzi al cascinale.

E’ lo strillo straziante del capo degli arbitri, dopo il fattaccio di San Siro Meazza, col povero Serra (foto) in lacrime, nello spogliatoio, confortato dai colleghi e da Zlatan Ibrahimovic e qui siamo davvero ai massimi.

Ormai sono saltate le marcature, il giudice dovrebbe avere equilibrio psicofisico e invece risulta più fragile di tutti, sbaglia a soffiare nel fischietto e ferma la vittoria del Milan che diventa subito dopo sconfitta, chiede scusa, la questione dovrebbe concludersi qui e invece arrivano le riverenze ufficiali, un comunicato, una telefonata, forse una scatola di cioccolatini e mazzi di fiori annessi, il teatro applaude, un solo attore riesce a mantenere la calma, Stefano Pioli dice che certe cose accadono, che il Milan avrebbe dovuto vincere prima e non alla fine e che ormai si deve pensare alla prossima. Che sarà contro la Juventus, dunque apriti social.

Il calcio, dalla nascita, ha convissuto con l’errore, dei calciatori, degli arbitri, dei dirigenti, il caso più illustre, a memoria televisiva, è diventato il pretesto per un’opera cinematografica che rappresenterà l’Italia all’Oscar di Hollywood: la mano di Dio fu uno scippo, un robo, una ladrata agli inglesi, ma fece parte del repertorio storico di questo gioco passato da mille corruzioni e arrangiamenti, orologi d’oro, femmine allegre, alloggi e ville, pubbliche relazioni che hanno fatto ricchi signori con il fischietto e dirigenti assieme a loro.

Ma Serra è un onesto uomo, il suo pianto fa cronaca e resterà negli archivi, verrà sospeso, quando tornerà ad arbitrare sarà accolto da mille fischi e striscioni e insinuazioni. Intanto gli interisti se la spassano, aspettano il derby per vedere l’effetto che fa con i famosi cugini (ma dove?) cornuti e mazziati. Mai dire mai.

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