L’AMERICA PARANOICA

Non è un esercizio facile assumersi la colpa, ancor più complicato è denunciare suscitando il sospetto fondato che il nemico sia (quasi sempre) in casa. Spesso – e in particolare negli ultimi anni – quando l’America si costruisce film o serie che parlano dei fatti propri, politica e spionaggio, storia e finanza, crimini e società, non punta più il dito su cattivi russi, cinesi, sudamericani, irlandesi, siciliani, ma sui propri.

Corruzione, potere, avidità, doppiogiochismo sono la traccia percorsa da produttori e registi per descrivere il complesso, diabolico establishment statunitense. Da “24”, “Succession”, “House of cards” – citando alcune serie che ho visto, oltre al recente “Civil war” -, con in mezzo decine di altre pellicole e fiction, descrivono con spessore i personaggi in una tale ricchezza di scenari e dettagli, da instillare ben più di un dubbio su quanto sceneggiatori, registi e produttori inventino e quanto invece sanno. Lo sconcerto deriva dal fatto che potrebbero tutti essere ispirati a una storia vera, come si dice.

“Zero Day”, miniserie (6 episodi da un’ora scarsa ciascuno), gioca subito la carta Robert De Niro per incollarti al piccolo schermo: Bob interpreta l’ex presidente USA George Mullen, chiamato dalla presidente in carica Mitchell (Angela Bassett) a formare una commissione che indaghi sugli autori dell’attacco hacker più devastante della storia. Per pochi secondi, l’America si è ritrovata al buio, senza elettricità: case, lampioni, semafori, computer, cellulari… Tutto si è spento e in quel breve lasso di tempo hanno perso la vita più di 3000 persone.

La corsa contro il tempo per individuare i colpevoli ed evitare che ripetano l’attacco, mantiene il ritmo e la suspense in un crescendo continuo, in una successione di colpi di scena più o meno clamorosi, di intrighi torbidi, figure e atteggiamenti sospetti che instillano qua e là dubbi su questo o su quell’altra. Costruzione perfetta.

Nel frattempo, istituzioni, media e popolazione vivono il terrore di imbattersi nuovamente in un black out devastante come quello che genera la miniserie. I temi portanti di “Zero Day” sono due: questa apocalisse che tutti attendiamo – più o meno consapevoli – nella vita reale e che ogni tanto si verifica davvero, sia pure con connotati e conseguenze assai più limitate, circoscritte; la capacità di un vecchio presidente in pensione nell’affrontare schemi lontani dal suo modus vivendi, sia perché legati a una tecnologia e a strategie a lui sconosciute, sia perché apparentemente turbato da falle mentali che generano sporadicamente un vero e proprio squilibrio cognitivo. Un giallo nel giallo.

E’ stato definito un thriller paranoide, apocalittico più nella psicologia che negli eventi (salvo quello iniziale). Normale, peraltro, in 50 Stati dove regna costante l’ansietà di attacchi hacker e non solo, dove la spasmodica attesa di qualcosa che potrebbe non accadere mai genera – già di per sé – danni incalcolabili, alla psiche e alle abitudini quotidiane. Il thriller paranoide è la realtà in cui sono sprofondati gli americani dopo l’11 Settembre, l’apocalisse è spesso frastagliata da episodi cruenti che ne creano una mettendoli tutti insieme, in un mosaico di orrore, di sangue, di cinismo.

Con le sue paure e le apparenti incertezze; con la sua cultura boomer che non impedisce di adeguarsi ai tempi, alle circostanze; con il suo rapporto contrastato diviso tra moglie e figlia (e un figlio morto); con le sue sofferenze e i suoi vuoti, Robert De Niro tratteggia perfettamente, nella fiction, la figura dell’ex presidente mettendo sul piatto tutta la sua straordinaria bravura nel non far passare mai in secondo piano la storia, ma purtroppo (unico difetto di tutta l’operazione) rendendo ancor più evidente come alcuni dei suoi colleghi non siano all’altezza del compito. Per il resto, “Zero Day” è da vedere.Pubblicità

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