LA VERGOGNA DELL’ITALIA CHE RINUNCIA AL MINUTO DI SILENZIO PER AGROPPI

Basterebbe la Supercoppa italiana giocata in Arabia per indispettirsi, a dir poco. Basterebbe anche meno, la Supercoppa con le semifinali, la presa in giro del calcio a sé stesso, il calendario troppo fitto di cui tutti si lamentano che si infittisce ancora di più.

A essere fitto in realtà non è il calendario, ma la nebbia fatta di dobloni che offusca le menti degli illuminati dirigenti delle Federazione e che porta a scelte imbarazzanti, che tuttavia nessuno nell’ambiente osa mettere in discussione, se non timidamente in conferenza stampa. Nessuno tra i dirigenti e nessuno tra i tifosi, noi, criticoni e insofferenti, ma poi lì pronti e schierati davanti agli schermi con birra e popcorn.

È l’imprinting che ci deturpa il senno fin dall’infanzia, il calcio, il tifo, che giustificano tutto e che vogliono i calciatori e tutti quanti intorno a loro incapaci di un gesto ribelle.

Poi muore Agroppi, proprio oggi e guarda che razza di seccatore questo bischero di un toscano. Poteva andarsene la settimana prossima, magari martedì. O mercoledì, andava benissimo, e invece oggi. Tocca metterci testa, e che testa, e decidere il da farsi. Ci sarebbe da metter lì un minuto di silenzio, pro forma, pro forma mentis anche, ma gli arabi dove li metti?

C’è il rischio che fischino questi arabi, come per Riva e per Beckenbauer, già successo. Vedi che roba, che rischi si corrono a metter la Supercoppa in Arabia, vuoi fare il bene del calcio e poi ti capitano queste grane. Dicono che per gli arabi il silenzio non sia associato al lutto, ma poi chi lo spiega agli italiani che questi non intendono mancare di rispetto, questi così generosi e riverenti nei confronti del nostro calcio.

Uno schifo, giusto per venire al dunque. Come sempre, la soluzione da italiani cuordileone, a schiena dritta, tutti d’un pezzo: siccome quelli ci ricoprono d’oro, noi le condoglianze e il minuto di raccoglimento ad Agroppi non lo possiamo proprio fare. Davanti alle grane, noi scantoniamo e ci facciamo riconoscere. E’ sempre 8 settembre, in fondo.

C’è un tempo per vivere e c’è un tempo per morire, sta scritto più o meno così nell’Ecclesiaste. Ecco, sembra che Agroppi abbia scelto il tempo sbagliato, sia pure per pochi giorni. O per qualche dollaro in più.

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