L’uomo è certamente l’animale più complesso del pianeta e questo ci ha consentito progressi tecnologici e scientifici straordinari. Anche i capolavori artistici nei campi di musica, letteratura, teatro sono possibili grazie al nostro cervello.
Tuttavia, la nostra maggiore plasticità non implica solo dei vantaggi evolutivi, ma comporta anche dei limiti.
Basti pensare alla capacità di fedeltà e di amore che possiede un cane: così puro, così incondizionato, così disinteressato come un essere umano non può essere. Grazie alle nostre capacità cognitive, noi facciamo valutazioni e confronti, prevediamo e pensiamo il futuro, diffidiamo, calcoliamo, teniamo conto delle aspettative, possiamo camuffare, mentire… Grazie al nostro cervello siamo incapaci di essere totalmente nell’hic et nunc.
Si dice che solo l’uomo è capace di essere ciò che non è, e di non essere ciò che è. Sembra uno scherzo con le parole, ma non lo è. Il gioco e la recitazione esprimono in modo metaforico e allegro questa verità dolorosa. Per noi è facile non essere noi stessi, per un cane è impossibile. Diventa così un esercizio faticoso, a volte interminabile, andare alla ricerca della propria vocazione, della nostra identità più profonda, dei nostri desideri veri e non quelli imposti dal consumismo o da altri condizionamenti sociali e familiari. La conoscenza di se stessi può diventare un processo infinito e ciascuno, più o meno consapevolmente, sceglie di accontentarsi di un proprio livello di profondità (o superficialità, a secondo dei punti di vista).
Ovviamente, l’affermazione precedente non è vera fino in fondo. Infatti, siamo profondamente umani proprio quando siamo avvolti nel mare delle nostre contraddizioni, paradossi, circuiti mentali che girano a vuoto.
Così l’ampiezza delle nostre potenzialità rischia di trasformarsi in una gabbia da cui è difficile uscire.
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