Cosa è la prurigine di “Un giorno in pretura” su Filippo Turetta, su Rai3, il giorno della sentenza?
Anche il papà di Giulia Cecchettin lo dice chiaramente, non ci sono vinti e vincitori, solo sconfitti. E allora perché questo desiderio, questa necessità di infierire subito su una sconfitta universale?
Quella trasmissione, in quel giorno, dopo la sentenza, ha lo stesso amaro e un po’ disgustoso sapore del turismo macabro. Una gita, seduti in poltrona, sui luoghi del massacro e delle vite massacrate, che sono quelle di tutte le persone coinvolte: Giulia, la sua famiglia, i suo amici, gli amici di Filippo, il suo papà, la sua mamma, Filippo stesso.
Messo lì in quel giorno, poche ore dopo la sentenza, è uno spettacolo di cui non andare fieri. Filippo è stato un mostro, ma in questo caso trovo mostruoso anche infierire e mettere in tv la rassegna della tragedia. E non perché il mostro non sia tale.
Trovo più umano e più civile spegnere tutto e tacere, anche se il sipario della trasmissione poi cala sul ricordo della vittima e sulla forza del padre.
Non sto dalla parte del carnefice, non è proprio questo il discorso, ma mettere sullo schermo la cronaca documentaria della sua tragedia, del suo atroce fallimento, a poche ore dalla sentenza, l’ho trovato indegno e desolatamente, penosamente morboso.