LA TRUFFA LEGALIZZATA DELLE PARTITE GIOCATE A META’

Prendete un treno a Milano col biglietto a tariffa intera per Napoli, ma il convoglio si ferma a Firenze S.M. Novella e vi molla lì. Salite a Roma su un aereo per Londra, ma il velivolo atterra a Bonn e buon proseguimento. Andate al cinema a vedere un film: la pellicola salta, ogni tre per due si accendono le luci in sala, saltano alcune scene. Andate a teatro e il regista sale continuamente sul palco a dare raccomandazioni, gli attori replicano con accesi battibecchi, l’esordiente finge un mal di testa per l’emozione poi riprende a recitare.

Quale reazione pensate potreste avere? Evitiamo violenza e turpiloquio.

Le questioni sono due: anzitutto il rispetto per il passeggero, per lo spettatore, in secondo luogo la durata del viaggio o dello spettacolo, già di suo deturpato da singhiozzi e fuori programma. In alcuni di questi casi ipotetici si possono chiedere rimborsi, casomai, ma non è che si possa mettere in preventivo un reclamo ogni volta che partiamo o andiamo a una serata (teoricamente) di arte.

La realtà è che nel mondo civile, a parte i ritardi atavici dei treni e spesso degli aerei, viaggi e spettacoli vanno a buon fine: arriviamo dove dobbiamo arrivare, vediamo quel che vogliamo vedere, salvo che alla fine recita o film ci piacciano o no, ma questo è un altro discorso.

Lo stesso vale per gli sport: non possiamo preventivare con esattezza quanto possa durare una partita di tennis, o di pallavolo, mentre pallacanestro e rugby hanno margini più o meno calcolabili, però sappiamo che vedremo ogni match per intero, dalla prima all’ultima palla o pallina o palla ovale che sia. Ci godremo la sfida.

L’eccezione è il calcio. Un’eccezione clamorosa e insopportabile, non soltanto per il pubblico pagante che tra l’altro sborsa fior di soldi per viaggiare, mangiare, bere e naturalmente comprare il biglietto stadio: i cento, duecento euro a testa se ne vanno in un attimo per assistere a qualsiasi partita.

In un articolo di Alessandro Guerrera per “100x100Napoli.it” si leggeva qualche tempo fa: “Nella stagione 2021-22 nessuna partita del Napoli ha raggiunto i 60 minuti di tempo effettivo di gioco (due terzi di 90 minuti). La partita in cui si è giocato di più è stata Napoli-Cagliari con 55′ 53”, mentre quella in cui si è giocato meno è Napoli-Torino con 34′20” di gioco effettivo”.

Scusate, soffermatevi sull’ultimo dato: 34’20” su 90′. Mezz’ora di gioco su un’ora e mezza annunciata. Uno studio ancor più approfondito del CIES (l’osservatorio internazionale del calcio) aveva preso in esame tutte le partite giocate dal 1 luglio 2019 al 3 marzo 2021 nei campionati e nelle manifestazioni europee. In Italia, su 96 minuti a partita compresi i recuperi, si gioca il 63,2% e, udite udite, è una delle medie migliori tra i massimi campionati continentali. Le peggiori sono nella serie A della Repubblica Ceca (54’55” di gioco effettivo a partita), Serie B spagnola (55’06”), Premierhsip scozzese (55’38”), Championship inglese (56’32”).

Cosa succede quindi? Succede che per ogni rimessa laterale con le mani (al primo posto tra le cause delle perdite di tempo), ogni fallo, ogni calcio di punizione, ogni corner, ogni sostituzione, ogni respiro, si stia fermi senza giocare, parlottando, bisticciando, tergiversando, cincischiando. Quando serve, ci si mettono gli istruiti raccattapalle – ragazzini che crescono quindi col tarlo culturale delle perdite di tempo strategiche – che raccattano la palla, ma non la rimettono in gioco se non dopo una bella manciata di secondi, visto che la squadra di casa sta ottenendo un risultato positivo. Ad ogni minimo contatto i giocatori crollano urlanti e rantolanti, gli allenatori si scagliano contro arbitro, guardalinee, quarto uomo, i quali ormai in campo non si limitano alla più che sufficiente gestualità dopo il fischio o l’alzata della bandierina, ma allestiscono veri e propri comizi al centro dei drappelli dei contestatori.

Essendo il mondo del calcio rassegnato al fatto che educare atleti, allenatori e arbitri sia fatica sprecata, ma forse anche il pubblico visto che accetta ad ogni latitudine questo salatissimo intrattenimento monco, l’unica soluzione di cui si parla da anni senza peraltro mai arrivare a una soluzione è l’introduzione del tempo effettivo, e cioè lo stop al cronometro ogniqualvolta il pallone non sia in gioco, tipo basket. Il che tra l’altro avrebbe un secondo minimo vantaggio: i minuti di recupero non dovrebbe più calcolarli a casaccio, a suo piacimento, l’arbitro, anche lui in debito di ossigeno nel finale e quindi spesso confuso e alterato. Certo, in questo modo se entri allo stadio alle 14 per una partita che inizia alle 15 rischi di uscire non prima delle 18, ma insomma ti sei gustato tutto quello che c’era da gustare e hai ammortizzato le spese di una giornata, altrimenti devolute a favore di un esercito di guitti farneticanti e rantolanti.

Ad oggi la questione, chiusa nei cassetti di chi decide nonostante le promesse del presidente della Fifa, Giovanni Infantino, è stata sollevata con vigore solo da pochissimi protagonisti dello show, come Stefano Pioli (“Juventus-Milan nel 2021 è durata 48 minuti”), Marco Van Basten (“Bisogna rendere il calcio uno sport più onesto e corretto, dove le perdite di tempo oggi sono strutturate”), fino al difensore della nazionale belga, Jan Vertonghen, (“Questo andazzo premia l’ostruzionismo, i tuffi, le lamentele, le sceneggiate. Riducono le emozioni e impoveriscono lo spettacolo”).

E gli altri? Gli altri tacciono: come rinunciare al grande vantaggio di perdere tempo ogni volta che ti fa comodo? Il calcio non è dei tifosi, come sostiene l’Uefa in uno dei suoi slogan più retorici, ma dei furbi. Impuniti.

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