Suona la campanella dell’intervallo: come rondini libere nel loro volo, i bambini sciamano verso il cortile. Per loro una sana merenda, accompagnata dai giochi di sempre: mondo, cavalluccio, nascondino. Oppure, riuniti in garruli capannelli, si raccontano le loro giovani vite: storielle, piccoli aneddoti, ingenui pettegolezzi…
Perfetto. Adesso chiudete il libro “Cuore” e ritornate nel mondo reale: quello in cui, quando suona la campanella dell’intervallo, i bambini non fanno una piega. Spesso, neppure si alzano: restano lì, seduti, e tirano fuori dalle tasche o dallo zainetto il cellulare. E passano l’intervallo così: ognuno nella sua bolla, in un universo artificiale e solitario, in cui credono di correre come puledri, ma sono solo dei criceti nella loro ruota che gira.
Non so dirvi quando sia cominciata questa devastante cancellazione della socialità giovanile, ma, per certo, a questo siamo giunti: a questa assenza totale di empatia, sostituita da un’ipnotica sottomissione al mondo illusorio dei giochini elettronici, delle chat, dei social. I nostri ragazzi sono sempre più isolati, come naufraghi di una disperazione travestita da passatempo divertente.
Così, probabilmente si spiega il caso della bambina di Cortona che ha visto andare deserta la propria festa di compleanno in una ludoteca: dei suoi compagnucci della scuola materna non uno ha fatto capolino. Così, i genitori della piccola si sono interrogati sul perché di questa defezione plebiscitaria. E il padre ha concluso che, forse, la colpa è della scuola. Certo che è della scuola, per la miseria: è sempre colpa della scuola! Però, lasciatemi dire che, stavolta, nella colpa c’è un certo qual concorso: le famiglie, le istituzioni, hanno contribuito a creare questo deserto, almeno quanto la scuola.
E’ verissimo che il nostro sistema educativo non educa più: perso in mille elucubrazioni didattiche, in una miriade di abominevoli sperimentazioni psicologiche, ha completamente dimenticato il puro e semplice buon senso: ove dorma il furor d’inclite gesta eccetera eccetera. La scuola è in mano a un branco di incapaci, invasati, infanatichiti incompetenti: più si sale e peggio si trova. E vorreste che una scuola così, a metà fra il film Brazil e la DDR, insegnasse ai giovani a volersi bene, a dialogare, a condividere? E dove sarebbero, nella scuola, gli esempi vivi di queste virtù? Suvvia: la nostra scuola è morta e bene sarebbe fare piazza pulita e ricominciare da zero.
Ma il punto non è soltanto questo, come dicevo: c’è un pauroso vuoto educativo in tutte le pieghe di questa bella società, che sembra un mondo postnucleare, senza nessun olocausto nucleare a monte. La televisione, prima, e Internet, poi, hanno distrutto la rete comunitaria: hanno cancellato i luoghi del condividere, sostituendoli con la solitudine dell’uomo-antenna: uno zombie, che riceve e trasmette concetti prefabbricati, modelli prestabiliti, perfino sentimenti precotti. Buongiornissimo! Ma quale buongiornissimo, maledetti idioti? E’ continuando a mettere in circolo simili scemenze che si rende scema la nostra gioventù: se il modello sono dei genitori imbecilli, secondo voi come cresceranno questi ragazzi? Senza leggere mai un libro, senza ascoltare musica che non sia spazzatura prodotta in serie, senza poesia?
Siamo alla resa: anzi, alla resa dei conti. Io, da decenni lo vado scrivendo, vox clamantis in deserto: e badate che non sono certo un misoneista che ritenga la tecnologia il male assoluto. Internet è uno strumento potente e potenzialmente utilissimo: ma il pc, il tablet, il cellulare sono elettrodomestici, non un prolungamento della nostra coscienza. Per questo, dico che il problema è essenzialmente educativo: educare anche alla gestione corretta dei propri strumenti, come dei propri sentimenti. E le due cose non possono coincidere.
Altrimenti, si finisce con l’essere tragicamente soli, in uno spazio vuoto e rumorosissimo, a cercare la propria anima tra le pieghe del web: come un inferno camuffato da paradiso. Si comincia da piccoli col disertare una banale festa di compleanno e si finisce con il disertare la vita.
Ma quanto leggo volentieri i tuoi pensieri scritti! Mi abbandono letteralmente a loro. Tanto sai di che pasta son fatto!
condivido in toto Professore