di CRISTIANO GATTI – Tra le tante colpe che noi italiani dobbiamo espiare, non so quale sia quella così grave dal doverci sorbire tutti gli anni, a cadenza fissa, con puntualità svizzera, il libro di Bruno Vespa.
E’ del tutto evidente che l’abile cerimoniere televisivo sia liberissimo di pubblicare tutti i libri possibili e immaginabili, come vuole e quando vuole. Quanto al giudizio sui contenuti, ogni lettore è perfettamente in grado di tirare le proprie conclusioni.
No, non è la solita recensione liturgica che mi induce a parlare dei libri di Bruno Vespa. Con tutti gli amici e i conoscenti che si fa tramite “Porta a Porta”, non ha certo bisogno di un mio puntello in aggiunta.
Questa vuole solo essere una presa di posizione, per quanto possa valere, sul malcostume della promozione massiccia a mezzo Rai. Semplicemente, mi chiedo e chiedo se e quanto sia giusto che questo tizio, ad ogni pubblicazione, debba per forza avere tanti accessi e tribune libere in tutte le trasmissioni delle reti pubbliche.
Dice: ma lui lavora in Rai, è normale. Ecco, su questo punto: è normale in un Paese come l’Italia, in cui i potentati e i baronati si costruiscono proprio così, con conoscenze e aderenze, con rendite di posizione e privilegi acquisiti. Che Vespa lavori in Rai più o meno dalla presa di Porta Pia non è un motivo sufficiente per garantirgli la possibilità di aprire la bancarella sulle reti Rai. Sono e restano due cose molto diverse. Molto distanti. Almeno un po’ di misura, se è permesso.
Dice, ancora: molti dei suoi libri sono editati anche dalla Rai, normale questa promozione a tappeto sui canali di casa. Pure su questo c’è qualcosa da dire. Non sfugge a nessuno la trovata di editare presso un editore privato, che sia Mondadori o Rizzoli, in collaborazione con la Rai, proprio per evitare il fastidio di avere dei seccatori – come il sottoscritto – che poi sollevino grane.
Per quante strategie si possano inventare, la realtà resta: in Italia ci sono migliaia di scrittori – pure troppi – che sfornano libri, ma nessuno ha tanta vetrina in Rai quanto Bruno Vespa. Lo possono notare tutti, da anni. Va bene un servizio su “Billy” o al Tg2 per qualche titolo particolarmente curioso o meritevole, ma per Vespa è ogni volta bombardamento a reti unificate.
Il problema è molto semplice, un problema antico, che in Rai tanti faticano a capire: si tratta di una televisione pubblica, sostenuta da soldi pubblici, cioè nostri. In questo caso, il meccanismo è perverso: si usano soldi nostri per fare pubblicità ai libri di Vespa sulla nostra televisione. E questo, anche se siamo abituati a tutto, anche se sembra che più nessuno lo noti, resta a dir poco inaccettabile. Comunque sgradevole. Se un giorno la smettessimo di considerare il patrimonio pubblico come qualcosa di lontano e di estraneo, magari di ostile, ma nostro come il nostro divano e la nostra macchina, forse certe abitudini distorte ci diventerebbero più insopportabili. C’è gente che usa la Rai come il guardaroba di casa, e questo non va bene. E’ un malcostume che va chiuso, prima o poi.
Io vedo poca televisione, lo riconosco, ma evidentemente sono molto sfortunato: ultimamente mi sbuca Vespa da tutte le parti. Programmi di informazione e rotocalchi: sempre lui col suo libro a raccontarci la rava e la fava.
Anche Wanna Marchi faceva l’imbonitrice intensiva, ma a spese sue, su canali privati. Vespa martella a tutto spiano senza sborsare un euro, a spese nostre, facendo televendite sul servizio pubblico. Ormai, parlando di Italia, si può tranquillamente parlare di “Tassa Brunovespa”, particolare tributo che tutti noi annualmente versiamo per permettere al prolifico scrittore la promozione del suo lavoro. Io personalmente ho qualcosa da ridire: potendo scegliere, verserei euro per promuovere altre firme, e comunque un po’ tutte. E comunque in dosaggi umani.
Proprio non arrivo a capire il perchè di tutta questa devozione – sottomissione – proprio a Vespa. Naturalmente dico per dire: in realtà lo capisco benissimo.
Forse, più per gioco che altro, sarebbe interessante segnalare la circostanza a responsabile del codice etico RAI (pubblicato in rete); il numero di violazioni di questo comportamento, da parte del datore di lavoro e del dipendente, è quasi esilarante.