Non un minuto ma ore, giorni, mesi di silenzio per i capi del calcio italiano. Vestiti a festa, con le loro facce da repertorio, nella tribuna della Kingdom Arena di Riad, a fianco dei cassieri sauditi che hanno garantito pane e companatico, dunque trattandoci come pezzenti alla ricerca dell’elemosina e pronti a chinarci, per obbedienza, alle loro abitudini: niente silenzio di un minuto in memoria di Aldo Agroppi, calciatore di molte squadre e della nazionale azzurra, defunto scomodo, inopportuno in quella terra arida di sentimenti ma ricca di denari.
La vergogna ha l’espressione dei dirigenti della federcalcio e della serie A, tutti indistintamente a novanta gradi, don Abbondio della politica calcistica. Dice: ma le abitudini saudite non prevedono il silenzio nemmeno in morte del loro re, e chissenefrega dovremmo dire. Perché, quando emigrano in Europa, recitano e professano senza che nessuno degli occidentali osi, si azzardi a criticare, a contestare riti e posture, proprio nel rispetto del credo altrui.
Civiltà diverse, ma nella Supercoppa è caduta la maschera di chi governa il nostro football e chi è a capo del calcio mondiale, la Fifa che in Arabia ha messo le tende in seta e cachemire, fottendosi della storia di questo sport e, invece, seguendo e inseguendo altre oasi, altri forzieri.
A pensarci bene, Aldo Agroppi avrebbe lui rifiutato il silenzio di questi sepolcri imbiancati.