LA SUBLIME LEZIONE IN DAD DEL PROF SOLDATO

In tempo di guerra – e siamo in tempo di guerra – ognuno di noi deve, o dovrebbe, raccogliere le parole e le storie come fa il cercatore di funghi, ovvero mettendo a frutto esperienza ed intelligenza per evitare che nel canestro finisca robaccia velenosa. Il rischio è altissimo: le bordate della propaganda sono quasi altrettanto fragorose di quelle vere. In più, in questi anni di progressivo deterioramento del giudizio, ormai scambiamo l’opinione per partigianeria: su qualunque questione – dall’Ucraina ai vaccini, dall’Eurovision al centrocampo del Sassuolo – raccogliamo senza troppo discernimento ciò che a prima vista fa comodo alla nostra causa e nuoce a quella degli avversari.

Per questa ragione, parole e storie che arrivano dalla guerra andrebbero sempre considerate con attenzione, specie quando sembrano fare troppo il gioco di una parte sull’altra. Personalmente, non ho dubbi su chi abbia torto e chi ragione in questo conflitto, ma il gioco della propaganda è comune ai due schieramenti e bisognerebbe tenersene alla larga.

Ciò detto, qualche volta i tanto vituperati giornalisti fanno il loro lavoro e riportano dal fronte storie che meritano attenzione incondizionata. Come quella raccontata nei giorni scorsi da “Repubblica” con un’intervista di Fabio Tonacci a Fedor Fedorovic Shandor, insegnante ucraino di 47 anni attualmente al fronte nel Donbass con la divisa del 68° battaglione della Brigata di difesa territoriale dei Carpazi. Il reparto per cui combatte è l’unico elemento venuto a nostra conoscenza del suo curriculum militare; i titoli accademici, invece, sono un poco più nitidi: Shandor conta su due lauree (Filosofia e Sociologia) e ha pubblicato una decina di libri su turismo e scienze sociali. Come si vede, il suo percorso professionale non è ancora approdato al fondamentale Osservatorio della Luiss ma, insomma, accontentiamoci.

Il 24 febbraio scorso, all’allarme per l’invasione russa, il professor Shandor è andato all’Università, ha tenuto i tre corsi in programma, e si è infine presentato all’ufficio militare più vicino. Da giacca e cravatta, uniforme del “prof”, è passato alla mimetica, ma non per questo ha abbandonato l’insegnamento. Da allora, tiene le sue lezioni online, collegandosi dalla trincea, dalla foresta, da qualunque luogo la guerra lo costringa: il teatro della battaglia diventa aula, il fronte si fa ateneo.

Così, nel luogo in cui l’umanità finisce e incomincia la barbarie sgorga una sorgente di cultura. “Gli allievi si stupiscono di vedermi in una foresta, vestito da soldato: allora dico loro che sono lì per difenderli”. Al giornalista di “Repubblica”, collegato via Skype, spiega: “Cito il vostro Garibaldi. Lui a chi lo fermava per strada diceva: ‘Vado per l’Italia’. Io dico: ‘Vado per l’Ucraina’”. Un accorato, e anche abile, appello alla sensibilità italiana: sarà meglio, però, tacere al professore il fatto che Garibaldi, ridotto a sagoma di bronzo, da noi nessuno lo ferma più per strada e a dedicagli costante attenzione sono soltanto i piccioni incontinenti.

Il professor Shandor crede nella sua missione e ha poca voglia di scherzare: “L’istruzione è la prima cosa, senza di essa non si diventa homo sapiens. Quelli che non hanno istruzione si ritrovano a scavare nell’area radioattiva di Chernobyl, oppure lanciano missili su un teatro pieno di sfollati, oppure, ancora, compiono i crimini di Bucha”.

C’è una foto che lo ritrae in trincea. Il mitra a tracolla, un quaderno di appunti a portata di mano e gli occhi allo schermo del telefonino, così da poter vigilare sui suoi allievi: “Controllo che non dormano durante la lezione”. Dovesse accadere, toglieremmo d’imperio a Franti la corona di peggior studente della storia per riassegnarla al dormiglione ucraino. Perché c’è Dad e Dad, ma quella di Shandor è l’unica in cui la lezione continua anche quando finisce il collegamento.

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