LA STRAGE DI ERBA HA DUE COLPEVOLI, IL RESTO E’ DELIRIO SOCIAL

Dovremmo ormai averci fatto l’abitudine. E invece eccoci qua a lottare con quella sensazione di disgusto che, ostinata, ci impedisce di adeguarci ai tempi in corso. Tempi in cui qualunque fatto viene estirpato dalla realtà, come si farebbe con un ortaggio, per trasformarlo in ingrediente della realtà virtuale, buttandolo nel pentolone dell’acchiappa-clic, per servirlo infine, stracotto e immangiabile, al sempre affamato popolo dei social.

E non importa che all’inizio, alla radice del fatto così strappato e violentato, ci sia gente in carne e ossa, persone che hanno sofferto, subìto la violenza più barbara, annientate come fossero nulla. Che cosa importa ai clown di questo circo dell’irreale se, a Erba, la sera dell’11 dicembre 2006 sono morte assassinate quattro persone – tre adulti (Raffaella Castagna, Paola Galli, Valeria Cherubini) e un bambino (Youssef Marzouk) – vittime della follia coniugale di due vicini di casa, Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati in via definitiva all’ergastolo per questo orrendo delitto? Che cosa importa se dalla “strage di Erba” – etichetta tanto abusata quanto ormai vuota di significato, di rispetto e di considerazione per i parenti delle vittime – si può ancora spremere qualche clic, aggiungere una manciata di sgangherati commenti su Facebook, unica moneta corrente – questa – in un’epoca di cui si è fatto del concetto di libertà di espressione la carta igienica del cervello?

E allora avanti con le illazioni, le “prove” di innocenza” che non esistono. Basta un pretesto qualunque per riaccendere – nel vuoto di pensiero, nella notte dell’ignoranza – la scintilla che rimette in moto il motore del tritacarne. E dunque la “strage di Erba” torna a galla nelle homepage dei siti, nei palinsesti tv popolati di iene e avvoltoi, nel codazzo vociante degli zombie che sanno tutto loro, quelli che hanno capito ogni cosa senza bisogno di informarsi, quelli che “leggono” l’innocenza negli occhi di Rosa Bazzi e sono esperti di tecniche investigative quasi fossero il frutto di una relazione proibita tra Sherlock Holmes e Agatha Christie.
Tutti i minimi indizi, vanno a cogliere questi fenomeni, tutti i riflessi della presunta innocenza dei coniugi. Tutto tranne la mole di prove materiali e circostanziali che li ha portati in prigione, la testimonianza straziante del povero Mario Frigerio, le stesse confessioni dei due assassini.

La novità è che al carrozzone virtuale si è associato un magistrato, Cuno Tarfusser, la cui figura dovrebbe dare credibilità al tutto. E invece no, perché come ha scritto Paolo Moretti nel quotidiano comasco “La Provincia”, le 58 pagine con le quali vorrebbe ottenere la revisione del processo non evidenziano elementi inediti, limitandosi ad accogliere suggestioni della difesa.

Ma anche questo non importa, non ha nessuna importanza. Chi volesse davvero saperne di più potrebbe rivolgersi, per esempio, al podcast “Anime nere” curato per il sito de “La Provincia” dallo stesso Paolo Moretti e Martina Toppi. Agli altri basterà credere di essere stati colti da una rivelazione, di aver capito tutto senza aver mosso un dito.

Dopo tutto, tanta baraonda è solo un chiodo nel vuoto, l’appiglio che consente di appendere là fuori un altro carico di delirio e presunzione, di tracotanza e irresponsabilità. Poco male se tutto questo inutile sforzo non producesse danni. Purtroppo, invece, danni ne fa e parecchi: per esempio apportando pena e dolore alla famiglia Castagna, ai fratelli della povera Raffaella, i figli di Carlo, morto nel 2018 dopo aver dato al mondo una lezione di etica cristiana riuscendo a maturare nel suo cuore lo slancio del perdono.

Allora, come oggi, lui e la sua famiglia avevano subito l’onta del sospetto e della derisione. Allora, come oggi, avevano dovuto difendersi da iene e sciacalli: “In questo meccanismo perverso – hanno scritto in questi giorni su Facebook i fratelli Castagna – ci sono vittime, persone e sentimenti, non un prodotto, non una nomination del Grande Fratello”.

Una constatazione innegabile, se non fosse per il fatto che il circo di cui sopra esiste proprio perché pratica il gioco perverso di negare la verità solleticando quel lato sospettoso e meschino che c’è in tutti noi. Alcuni si sforzano di tenerlo a bada, altri – in mancanza di stimoli più elevati – vi si abbandonano senza ritegno. Con la scusa, risibile, di inseguire la “giustizia”, di ristabilire l’“innocenza”, di “assolvere” qualcuno, quando invece il risultato è condannare chi, come i Castagna e i Frigerio, si ritrovano di nuovo vittime.

Giustizia, innocenza: ecco che, di colpo, all’elenco delle vittime di Erba tocca aggiungere due parole un tempo nobili e luminose.

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