C’è Daniela, con Alex. E questa è l’unica cosa che conti davvero. Noi, qui fuori, oltre che aspettare il primo battito di ciglia dell’eroe amico, faremmo bene a contemplare anche lei. Il suo modo di starci, il suo modo di essere.
Da tanto tempo ormai abbiamo compreso e accettato come il dolore personale non sia più questione privata. La norma moderna, il nuovo costume, prevede che il dramma diventi subito patrimonio pubblico, prima di tutto televisivo. Essenzialmente social. Sociale, pubblico, di tutti. La gente sulle gradinate, il poveraccio al centro dell’arena. Con un dettaglio che resta impressionante: il più convinto che debba essere così, che cioè quando capita qualcosa di brutto ci si debba mettere davanti alla telecamera o su una storia Instagram, è proprio l’afflitto. Come un nuovo dovere. Come un nuovo automatismo. La spiegazione che ci diamo: ormai è così, ormai si fa così, ormai fanno tutti così. E via con l’assurdo (anche se ce la raccontiamo, resta assurdo): le persone colpite dalle tragedie più cupe sfilano a favore di telecamera con una partecipazione e una passione da attori nati. O da sudditi devoti. E’ così, bisogna fare così, fanno tutti così: come fai a sottrarti se Vespa e la D’urso ti chiedono l’intervista?
Ormai è così, ma non è vero che debba essere per forza così. Non sta scritto da nessuna parte. E’ meglio se ce lo ricordiamo. Un altro modo è possibile. Ogni tanto, in via del tutto eccezionale, lo possiamo verificare. Nei miei lavori da inviato, ho incontrato parecchi di questi casi anomali. Ricordo la moglie dell’economista Biagi, ricordo la mamma di Yara, ricordo la mamma del piccolo Tommy: un’umanità sofferente rinchiusa nel proprio dolore, nella dimensione metafisica e insondabile della vita, dove è difficile darsi una spiegazione, nella certezza comunque che una spiegazione certo non possa arrivare dal collegamento con le varie Vite in diretta.
Adesso vedo la signora Daniela. Nel grande teatro che mette sul piedistallo chi fa gol, chi fa ascolti, chi fa scene madri, chi fa il mostro, lei chiude fuori il mondo e sta in silenzio accanto all’amore della sua vita. Come la Madonna della Pietà di Michelangelo, ha occhi e forze solo per Alex. Per la sua sofferenza. Non ha tempo e voglia di espletare i nuovi doveri, televisivi e social: è immersa nella prova, la nuova prova, per questo amore che prove ne ha inflitte di terribili, assieme però a tanta serenità, tanta gioia, tanta emozione. E tanta tenerezza.
Scriveva Tolstoj, nei suoi slanci di estrazione evangelica: chi sono io per giudicare? Così, mi guardo bene proprio io dal giudicare qualcuno in momenti tanto atroci. Però non ho neppure voglia di girarmi dall’altra parte. Da osservatore, non posso non osservare che un altro modo di affrontare il dolore è possibile. Resta comunque possibile, nonostante tutto. Questo modo non ha bisogno di protocolli, webinar, master, tutorial: basta guardare Daniela e le donne come lei. E’ il modo del contegno, della misura, della discrezione. Poche parole, solo quelle che servono, solo quelle che bastano. Sono l’intimo e il privato che prevalgono in modo talmente nobile da buttare fuori tutto cioè che è urlato, plateale, volgare, sguaiato.
Io non trovo un’altra maniera di definirla, questa postura, se non ricorrendo a una semplicissima parola, fortunatamente mai passata di moda, neppure nelle bufere dei neologismi inglesi: la chiamo dignità.
Egr.Dott. Cristiano GATTI,
anche se si i tentativi …oscurantisti si sprecano , ed abbonda il ciarpame social , non sono poche le PERSONE, comuni mortali e banali esseri umani, che SANNO , come la moglie di Alex ZANARDI, cosa pretende la VITA.
Soprattutto cosa IMPONE la vita INSIEME. Altroché tante chiacchiere d’indipendenza fasulla , e libertà confusa con …me ne frego.
Quanto alla semplicità di quella parolina che ancora ha il nome di DIGNITÀ, trovo che ne sia ben onerosa la pratica quotidiana.
Fa giusto il paio con VERGOGNA, un altro di quei termini ormai desueti (dicono qualcosa PROBITA’ , RISPETTO, SERIETÀ…e via ben dicendo ? ) che , a ben pensarci, farebbe bene sperimentare.
Almeno ogni tanto.
Cordialmente.
Fiorenzo Alessi