LA SICILIA EMBLEMA DEPRIMENTE DELL’AGRICOLTURA ITALIANA

Nel 2017 la Fee Italia, sezione italiana della danese Foundation for Environmental Education, insieme a Confagricoltura, ha dato vita a un riconoscimento denominato Spighe verdi, diretta filiazione delle Bandiere Blu.

Si tratta di un programma che riguarda i temi dell’agricoltura e della sostenibilità, premiando i comuni rurali più attenti alla valorizzazione delle risorse naturali locali.

La speranza degli ideatori dell’iniziativa è di ripercorrere, come accaduto per le Blue Flag, un circuito virtuoso presso i comuni rurali, spingendoli a scegliere strategie di gestione utili all’ambiente e alla qualità della vita della comunità.

Il giudizio di merito per l’assegnazione di questo riconoscimento è affidato alla valutazione di indicatori in grado di fotografare le politiche di gestione del territorio e indirizzarle verso criteri di massima attenzione alla sostenibilità.

Tra questi parametri figurano la partecipazione pubblica, l’educazione allo sviluppo sostenibile, il corretto utilizzo del suolo, la presenza nel territorio di produzioni agricole tipiche, la sostenibilità e l’innovazione in agricoltura, la qualità dell’offerta turistica. Ma non è tutto: tra gli indicatori sono presenti anche la presenza di impianti di depurazione, la gestione dei rifiuti con attenzione alla raccolta differenziata, la valorizzazione delle aree naturalistiche e del paesaggio così come l’arredo urbano e l’accessibilità.

In questi giorni è stata stilata la classifica delle località che potranno fregiarsi dell’assegnazione delle Spighe Verdi.

Sono 63 le località rurali premiate, 4 in più rispetto allo scorso anno: a fronte di 7 nuovi ingressi, sono stati 3 i Comuni non confermati.

Tra i comuni non confermati c’è Ragusa, unica località siciliana presente nell’elenco dei siti premiati lo scorso anno.

Così per uno scherzo del destino la Sicilia, regione considerata il granaio di Roma, si ritrova senza Spighe Verdi.

La Sicilia rurale ed agricola è purtroppo uno specchio fedele del deprimente panorama politico-economico isolano, ma non solo.

Grandissime potenzialità, straordinario patrimonio naturale, notevoli capacità produttive e innovazione di prodotto, non adeguatamente valorizzate, da una classe politica atavicamente alle prese con piccoli interessi di bottega finalizzati alla conservazione di miserevoli rendite di potere.

La Sicilia agricola è, dispiace dirlo, un’eterna incompiuta, destinata a perpetrare indefinitamente questa condizione.

Per dare una dimensione dei problemi del settore agricolo siciliano basta dire che attualmente arrivare fisicamente in molte aziende dell’entroterra siciliano è una vera e propria avventura: una viabilità inesistente impedisce, specie nella stagione invernale, la sola presenza nei luoghi di lavoro.

Per sintetizzare, in Sicilia ci sono allevatori costretti a portare in prima persona il latte alle Centrali o ai caseifici per l’impossibilità dei mezzi cisterna di arrivare nelle aziende.

Ditemi se è possibile operare in queste condizioni e se questi lavoratori non meritano l’appellativo di EROI.

Eppure quest’isola custodisce il 25% dell’agrobiodiversità europea, il maggior numero di aziende agricole biologiche con la maggiore superfice coltivata, possiede una straordinaria varietà di ambienti pedoclimatici dove si riesce a coltivare: cotone e grano, canapa e riso, caffè e mango, pomodoro e avocado, canna da zucchero e segale, uva e vini eccezionali e chi più ne ha più ne metta.

Ci sono maestranze che insegnano come fare i prodotti in tutto il mondo.

Una ricchezza sterminata che però riesce ad emergere solo sporadicamente, grazie alle capacità individuali di singoli.

L’assenza di classe politica adeguata fa della Sicilia non la Terra del “Vorrei ma non posso”, ma direttamente del “Non voglio”.

Non ci sono motivazioni per definire questa atavica condizione, che pone in una situazione di estremo imbarazzo chi viene chiamato a dare una parvenza di spiegazione.

Ma se la Sicilia piange, il resto d’Italia non ride.

La conferma viene dal sostanziale disinteresse ai temi dell’agricoltura dei candidati alla campagna elettorale: del mondo rurale non importa niente a nessuno.

Vorrà dire che la nostra speranza di alimentarci dipenderà dall’approvazione di un fantomatico accordo sullo sblocco del grano ucraino o ai desiderata dei cinesi riguardo la vendita dei mezzi di produzione (fertilizzanti, pezzi di ricambio, sementi, etc.).

Nel frattempo, secondo il recentissimo Rapporto Snpa (Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente) dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), dati raccolti e rilanciati della Coldiretti, nello spazio di una generazione è scomparso più di 1 terreno agricolo su 4 (-28%).

Altro che “Campo Largo”….

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