LA SCUOLA DI CETTO LAQUALUNQUE

di ARIO GERVASUTTI – La ragione dovrebbe imporci di conservare sempre un minimo di indulgenza nei confronti di chi governa: il poveraccio deve assumersi responsabilità, deve anche difendersi dalle critiche sempre dietro l’angolo, insomma ha molti doveri e pochi diritti. Poi però leggi quello che dice il ministro dei Trasporti Paola De Micheli (NELLA FOTO) in un’intervista a “La Repubblica”, e la ragione va a farsi benedire.

Tre “perle” bastano per capire. “Nessuno mi ha portato uno studio che dimostri che i trasporti sono la principale ragione della crescita della curva dei contagi”, proclama la De Micheli per spiegare come da parte sua – di ministro dei Trasporti – non ci siano motivi di ostacolo al ritorno a scuola di centinaia di migliaia di studenti delle superiori. Siamo curiosi di vedere, a questo punto, gli studi che viceversa hanno dimostrato che le principale ragione della crescita dei contagi sono quindi i parchi (chiusi), il negozio di francobolli (chiuso), il barbiere del paesino di 2000 abitanti (chiuso) e tutti gli altri luoghi di lavoro e di servizio che sono stati costretti a sbarrare le porte, nonostante distanziamenti e rischi di contatto siano in tutta evidenza di gran lunga minori di quelli su un autobus.

Fino ad oggi avevamo creduto che le restrizioni decise dal governo seguissero il criterio generico della riduzione del rischio: in sostanza, impedire gli affollamenti nei luoghi dove le persone possono trovarsi a contatto ravvicinato per un po’ di tempo. Invece no: adesso scopriamo che tutto deve essere basato su uno “studio”. E se non c’è quello “studio”, possiamo stare tranquilli.

Allora però sorge un dubbio riguardo alla seconda “perla” della ministro: “Con le risorse assegnate dal governo, le Regioni hanno messo a disposizione quasi 10mila bus aggiuntivi in tutto il Paese”. Ma se il fatto di viaggiare ammassati sugli autobus è ininfluente rispetto alla crescita dei contagi, per quale motivo sono stati aggiunti 10mila nuovi mezzi? Tra l’altro: 10mila bus aggiuntivi significano, facendo una media puramente matematica, 476 in più in ogni regione. Se così fosse, è facile prevedere che alla riapertura delle scuole ci saranno code chilometriche di pullman con 6-7 studenti a bordo al massimo. Sarebbe bello, ma chissà perché mi vengono in mente gli aerei di Mussolini, quelli che sorvolavano le parate e appena fuori vista viravano per ripassare sopra il Duce, così da sembrare migliaia.

La migliore di tutte è però la terza “perla”, quella che si guadagna la standing ovation: “Tra le 7 e le 9, metro e autobus sono pieni, per poi viaggiare semivuoti dopo le 9,15”, rivela la ministra confidando negli applausi per l’acuta osservazione. “Perciò credo sia necessario fare lezioni in presenza anche il sabato. La domenica? Siamo in emergenza e bisogna far cadere ogni tabù”. E qui l’ovazione non può non scattare. D’accordo, ci sono piccole sfumature da prendere in considerazione: ad esempio, la gran parte delle scuole in Italia è già oggi aperta anche al sabato, dettaglio che comprensibilmente un ministro non è tenuta a conoscere. Quanto alla domenica, possibile che nessuno ci abbia mai pensato prima? E allora ricapitoliamo: scuole aperte dalle 8 alle 20, 7 giorni su 7, ciascuno poi è libero di scegliere a che ora e quando andare a lezione, come si fa per la spesa nei centri commerciali. Bellissimo, meraviglioso.

Una sola domanda, però: l’insegnante di Francese, o di Matematica, o di Italiano, sarà in classe dalle 8 alle 20, 7 giorni su 7? Perché se così fosse, facendo un piccolo calcolo, dovrebbe lavorare 84 ore settimanali. Ovvero esattamente il doppio di quanto previsto da qualsiasi altro lavoro (ministro compreso).

Ma forse il ministro De Micheli non ci voleva privare di un’ulteriore perla, l’annuncio dell’assunzione di qualche milione di insegnanti. Questa se la tiene per la prossima intervista, insieme ai fuochi di artificio e la garanzia di “chiù pilu pe’ tutti”. E Cetto Laqualunque potrà andare a nascondersi.

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