LA SCONFITTA TOTALE: UN PROF SPINGE AL SUICIDIO

di JOHNNY RONCALLI – Anche laddove possa trovare ragione il principio d’autorità, perché ci sono occasioni nelle quali una madre, un padre, un insegnante possono a buon diritto dire <<si fa così, è così perché lo dico io>>, anche in queste occasioni è il rispetto che non deve venire meno.

Se il rispetto viene a mancare, chi deve obbedire prima o poi ti mancherà di rispetto a sua volta, oppure si ucciderà. Sì, si ucciderà.

È accaduto a Roma, mesi fa, ma la notizia è arrivata con l’iscrizione nel registro degli indagati di un insegnante, accusato di atti vessatori che avrebbero portato un ragazzo di 17 anni a togliersi la vita.

Un ragazzo con qualche problema di apprendimento, reduce da un grave incidente che limita ulteriormente forze e morale. Uno strisciante senso di inadeguatezza, che pare aver ricevuto il colpo di grazia dai commenti e dalle note sul registro elettronico da parte di un insegnante impietoso e aguzzino. Una nota in particolare, che paragona le sue capacità intellettive a quelle di un bambino delle elementari.

Una brutta storia, con risvolti omertosi dei quali si fa interprete la preside, al corrente di tutto ma pronta a tacere, al punto da far scomparire la nota incriminata dal registro.

I compagni di classe confermano le reiterate azioni offensive da parte dell’insegnante, emerge una penosa atmosfera alla quale meritano di essere risparmiate pennellate retoriche.

Non sapremo mai la vera verità, non sapremo mai quali siano stati i pensieri e i tormenti che hanno portato il ragazzo al gesto estremo, ma quegli umilianti episodi in classe sanno tanto di vaso che trabocca.

Il pungente irriguardoso sarcasmo, l’insolente irriverenza che puntualmente attribuiamo ai ragazzi dei giorni nostri, per una volta vengono impersonati da chi dovrebbe innanzitutto insegnare ad essere uomini, di fronte a chi ci è superiore, ma anche chi mostra evidenti difficoltà. Con un’ulteriore aggravante, se possibile: la medesima odiosa sensazione che si prova ogni volta che qualcuno in posizione di potere ne abusa in modo gratuito, vessatorio, si diceva. Niente di più insopportabile dei forti coi deboli.

La mente corre in direzione opposta, verso il limite opposto al quale tendere, a Don Milani inevitabilmente. La mente corre in un luogo dove nessuno viene dimenticato e tantomeno messo in ridicolo perché annaspa o perché fatica, un luogo dove chi insegna la storia, la matematica, la lingua, la vita, deve innanzitutto sapere insegnare, non semplicemente sapere.

Non so come si possa arrivare a questo. Attraverso la coscienza, un altro luogo misterioso dove ognuno dovrebbe potersi specchiare, dopo aver incrociato gli sguardi delle persone che si trova davanti. Attraverso strade che permettano di arrivare all’insegnamento solo a uomini preparati e davvero capaci di comunicare, spiegare, appassionare. E rispettare.

Non vi sono macchine in grado di misurare l’attitudine all’insegnamento. Come potrebbero. Esiste tuttavia un pensiero civile che induce a pensare che il ruolo dell’insegnante, assieme al ruolo del medico, dovrebbe essere interpretato solo dalle persone migliori, da veri uomini, talvolta forti, talvolta deboli, ma sempre puliti, onesti, devoti all’impegno più oneroso, ma anche più importante e gratificante in una società degna di questo nome.

Sulla coscienza di quell’insegnante, qualcuno deve aver alitato pesantemente il giorno in cui ha scelto la propria professione.

Ma quella coscienza sarà da ora non solo appannata, sarà sporca, e a nessuno potrà imputare la macchia, se non a sé stesso.

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